Salviamo i nostri Marò

Salviamo i nostri Marò
I nostri due militari devono tornare a casa

Siamo contro ogni genere di Discarica nel nostro Territorio!

mercoledì 4 novembre 2009

Pagine di Storia ...





1918 LA FINE DELLA "GRANDE GUERRA"

LA "GRANDE OFFENSIVA" DAL GRAPPA A VITTORIO VENETO,
L'ARMISTIZIO DI VILLA GIUSTI E LA VITTORIA






All'inizio della terza decade di ottobre l'esercito italiano era pronto per la grande offensiva. Il morale dei soldati era già alto per i risultati ottenuti nei due precedenti mesi, ma diventò altissimo quando iniziarono a giungere le notizie dal fronte occidentale dove i tedeschi stavano provando cosa significa avere una grave crisi dentro l'esercito e avere il nemico sulla soglia di casa. L'avanzata inesorabile delle armate Alleate indebolì ulteriormente la volontà sia del governo sia del popolo tedesco. Inoltre FOCH -grazie ai forti contingenti americani, e dobbiamo qui dire, anche grazie agli italiani che misero fin da giugno in crisi gli austriaci- stava per lanciare un attacco in Lorena, attacco che avrebbe portato per la prima volta la guerra sul suolo tedesco.
Se le notizie facevano gioire l'Italia, le misere condizioni (logistiche oltre che morali) in cui si dibatteva la Germania, minavano la volontà di combattere del soldato tedesco; poi c'era il disfattismo dei capi militari, che fino allora avevano goduto un alto prestigio, ma quando ci fu il cedimento il 2 settembre della linea Hinderbug, non solo frenavano al fronte alcuni zelanti comandanti (figuriamoci i loro sottoposti!), ma sembrava che loro sul campo, e i politici a Berlino, allentassero l'ultimo freno contro la rivoluzione sociale in atto.
Con queste notizie che giungevano -che volevano dire che l'Austria era ormai rimasta sola- i soldati italiani erano impazienti di vendicare Caporetto e bramosi di liberare le terre da loro calpestate e con i fratelli tenuti da quasi un anno sotto il giogo più duro in città e paesi che erano ormai un cumulo di macerie



I saccheggi di Udine, Belluno, Vittorio, Conegliano, Agordo, Cividale e Feltre compiuti da Tedeschi e Austriaci, gl'incendi, gli stupri, gli assassini, le impiccagioni, le violenze, le requisizioni, i furti, le deportazioni, le offese, le devastazioni, i vandalismi, le confische, i balzelli, le angherie, le leggi brigantesche, le profanazioni dei templi e dei cimiteri, la ferocia della gendarmeria, tutti gli atti insomma d'inaudita barbarie, che in un anno di occupazione, aveva il nemico commesso nei territori posti di là dal Piave erano per i combattenti italiani stimoli potentissimi alla riscossa e alla vendetta.
Del resto già da qualche tempo, alcuni gruppetti d'italiani (spesso alla guida di un semplice caporale) che attaccavano gli austriaci, avevano già avuto la sensazione di un generale decadimento, per il numero di soldati che si arrendevano senza opporre resistenza; e spesso lo facevano solo perché questi al di là del Piave, erano logorati, da tempo facevano la fame, molti colpiti dalle malattie, e in molte unità erano assenti i vecchi generali, i primi a cadere sotto il dilagare dell'influenza spagnola o più semplicemente da una funesta stanchezza. L'inizio della "grande offensiva" fu deciso per l'alba del 24 ottobre con l'attacco della IV Armata nella regione del Grappa, attacco che doveva essere effettuato con il concorso dell'ala sinistra della XII Armata (I Corpo del gen. ETNA) e con l'appoggio dell'artiglieria della VI Armata, la quale, a scopo diversivo, doveva a sua volta eseguire colpi di mano su tutto il proprio fronte, mentre la X avrebbe occupato le Grave di Papadopoli.
La IV Armata era composta del IX Corpo (ton. gen. DE BONO: divisioni 17a, 12a e 18a) schierate a sinistra, del VI Corpo (ton. gen. LOMBARDI: divisioni 22a e 59a) al centro e del XXX Corpo (ton. gen. MONTANARI: divisioni 47a, 80a, 50a e 153a) a destra.
A tutte queste truppe il generale GIARDINO lanciò, la vigilia, il proclama seguente:
"È l'ora della riscossa. È l'ora nostra. I fratelli schiavi aspettano i soldatini del Grappa liberatori! Chi di voi non si sente bruciare di furia e d'amore? Il nemico traballa. È il momento di dargli il tracollo che può essere l'ultimo se glielo date secco. Ognuno di voi valga per dieci e per cento. Il vostro Generale sa che varrete per dieci e per cento. L'Italia vi guarda ed aspetta da ciascuno di voi la liberazione e la vittoria. Soldati miei, avanti!"

"Fra il Brenta e il Piave - scrive nella sua, relazione il Comando Supremo- il nostro fuoco d'artiglieria iniziò alle ore 3 del 24 ottobre. Alle 7,15 le fanterie mossero all'attacco. Una fitta nebbia, trasformatasi poi in pioggia dirotta, venne presto a limitare l'efficacia delle opposte artiglieria, ma non impedì la lotta vicina delle fanterie o delle mitragliatrici che assunse subito carattere di grande accanimento.  L'Asolone, occupato di slancio, dovette essere abbandonato sotto una tempesta di fuoco di mitragliatrici incavernate e sotto la pressione di violenti contrattacchi. La brigata Pesaro (239° e 240°) conquistò il Pertica e il XXIII Reparto d'Assalto ed altri elementi s'impadronì di quota 1484 di M. Prassolan; ma flagellati e decimati dal fuoco avversario, furono anch'essi costretti a ripiegare a ridosso delle posizioni raggiunte, dove resistettero fortemente, annidati nelle buche dei proiettili. La brigata "Lombardia" (73° e 74°) attanagliò con le sue colonne d'attacco le vette dei Solaroli e occupò quelli di quota 1671. La brigata "Aosta" (5° e 6°) strappò al nemico in aspra lotta il Valderoa, catturando i resti del presidio. Vano fu l'attacco allo Spinoncia, che svelava mitragliatrici in ogni roccia e opponeva ai nostri l'ostacolo di pareti quasi a picco. Più ad oriente il 2° battaglione del 96° fanteria (brigata "Udine") con ardite puntate s'impadroniva del Col di Vajal e iniziava la scalata di Punta dello Zoc. L'ala sinistra della XII Armata, appoggiando l'azione della IV, scese dal Monte Tomba e dal Monfenera nella conca di Alano e riuscì a stabilirsi sulla sponda nord del torrente Ornic.
Nelle sanguinose azioni furono catturati 1300 prigionieri e numerose mitragliatrici. Nel tempo stesso pattuglie d'Assalto della 1a Armata in Val d'Astico e sul ciglione sud di Val d'Assa, speciali colonne d'attacco della VI Armata sull'Altopiano d'Asiago irrompevano nei posti avanzati del Redentoro (Val d'Astico) e di Cima Tre Pezzi -Val d'Assa), nei trinceramenti di Canove, del Sisemol, di Stenfle e del Cornove allo scopo di allarmare l'avversario e di impegnarlo in quei settori impedendogli di spostar forze verso la regione del Grappa, e, dopo mischie violente, ne riportavano prigionieri. Il Sisemol, spazzato da una colonna francese che catturò l'intero presidio, fu mantenuto per l'intera giornata allo scopo di accentuare l'azione dimostrativa. La resistenza accanita incontrata nella regione del Grappa non fece mutare i propositi del Comando Supremo, che ordinò di insistervi per fiaccare la resistenza del nemico ed assorbirne le riserve; intanto l'attacco in forze del medio Piave, stabilito per la notte sul 25, doveva ancora per le avverse condizioni atmosferiche nuovamente sopravvenute, essere differito di qualche giorno. Le acque del fiume, gonfio nei giorni precedenti, erano venute lentamente decrescendo, tanto che nelle prime ore del 24, truppe delle XII Armata, britanniche ed italiane, erano riuscite, secondo gli ordini, ad occupare, nella regione delle Grave di Papadopoli, le isole di Cosenza, Lido, Grave e Caserta. Ma poco dopo, nello stesso giorno, scatenatasi repentinamente una violentissima pioggia nella zona montana e nella pianura, si manifestava un nuovo aumento, tanto che nella zona stabilita per la gettata dei ponti tra Pederobba e Sant'Andrea di Barbarana, anche nei punti di minor profondità, ai guadi, il livello dell'acqua era salito fino ad 1.55 e la velocità della corrente superava in più punti i tre metri al secondo; per altro le osservazioni precedenti facevano prevedere che questa fase di aumento sarebbe stata di breve durata.
Fu perciò deciso di rimandare il passaggio del fiume alla sera del 26, e nell'attesa si continuò col massimo vigore, l'azione preparatoria.
Il 25 da una parte la X Armata consolidava il possesso della Grave, dall'altra la IV, rinnovata l'azione dell'artiglieria, continuava la sua offensiva concentrando gli sforzi sui punti che il nemico difendeva con maggiore accanimento: Col della Berretta, Pertica, Asolone, Solarolo, Valderoa.
Il IX Reparto d'Assalto, scattando irresistibilmente dall'Asolone, travolse le linee nemiche, conquistando con la 3a compagnia la quota 1486 e con altre due giungendo di slancio sul Col della Berretta. Circa 800 nemici, di cui tre battaglioni bosniaci, furono catturati; il 44° reparto d'assalto ungherese distrutto. Parte degli avversari fu inseguita fino a Col Bonato, parte incalzata in fondo di Val delle Sabine. Il nemico, riavutosi dalla sorpresa, contrattaccò con forze schiaccianti da ogni parte gli arditi, i quali, dopo una mischia feroce, riuscirono a rompere il cerchio che li stringeva e a rientrare nelle linee. Il XVIII reparto d'assalto ed elementi della brigata Pesaro (239°, 240°, dopo sei ore di accanita lotta, che costò loro gravi perdite ma assai più gravi al nemico, si affermarono sul Pertica, catturando i superstiti difensori e una quarantina di mitragliatrici.
La brigata "Bologna" (39°, 40°) - citiamo sempre la relazione - espugnò monte Forcelletta e si portò sotto la vetta del Col del Cuc prendendo prigionieri e materiali. Fanti della brigata "Lombardia" (73° e 74°) e alpini dei battaglioni "Val Cordevole" e "Levanna" rinnovarono assalti su assalti contro le vette nude e tormentate del Solarolo, senza riuscire a conquistarne il possesso. Oltre 1400 prigionieri furono catturati nella dura giornata. Lotta disperata su tutto il fronte, ma non vana: oltre ad aver perduto posizioni di capitale importanza (M. Pertica e M. Forcelletta), il nemico, profondamente scosso dalla potenza e dalla violenza degli attacchi, sentendo acuirsi il pericolo dello sfondamento verso la conca di Feltre, impegnava nella difesa della regione del Grappa non solo le sue riserve immediate, ma anche quelle che teneva nelle retrovie del Feltrino e del Bellunese. Veniva così a privarsi delle forze che a noi premeva appunto fossero neutralizzate, per impedirne lo spostamento verso il fronte della nostra VIII Armata. Nella giornata del 26, la battaglia sul Grappa proseguì serrata, accanita, con fluttuazioni continue; 1200 prigionieri furono catturati. Due delle divisioni di riserva e le artiglierie di una terza incalzavano il fronte del nemico, il quale aveva così in linea, fra Brenta e Piave, 9 divisioni contro le 7 italiane che assalivano e che proseguivano instancabili la loro durissima azione di logoramento.
Migliorate le condizioni atmosferiche e diminuita la violenza della corrente, la sera del 26 furono cominciati i lavori per la gettata dei ponti attraverso il Piave che dovevano essere undici: uno a Molinello (Pederobba) sul fronte della XII Armata, 7 tra Fontana del Buoro (Montello) e i Ponti della Priula (sulla fronte dell'VIII), 3 alle Grave di Papadopoli, sulla fronte della X. Nel settore che doveva essere sfondato e precisamente sulla fronte dell'VIII Armata, tra Vidor e Nervesa, il compito della rottura era stato affidato al Corpo d'Armata d'Assalto, organismo formidabile comandato dal generale GRAZIOLI, ch'era composto della la Divisione d'Assalto del generale ZOPPI e della 2a Divisione d'Assalto del generale DE MARCHI. Ma quest'ultima divisione non poté passare il fiume non essendo stato possibile gettare il ponte presso Nervesa. Questo non fu il solo ponte che non si riuscì a gettare; altri cinque, tra i sette su cui dovevano passare gli arditi non si poterono gettare per la violenza della corrente e il tiro aggiustato dell'artiglieria nemica, cosicché solo su sei si effettuò il passaggio delle truppe, quello di Molinello, due tra Fontana del Buoro e Falzè e i tre delle Grave di Popadopoli. I primi a passare su barconi, furono le Fiamme Nere del XII Reparto d'Assalto; seguì poi tutta la 1a Divisione d'Assalto.
All'alba del 27 le truppe passate sulla sinistra del Piave, dopo avere prese d'assalto le prime difese nemiche, formavano tre teste di ponte. La prima, nei pressi di Valdobbiadene, era tenuta da 3 battaglioni del 107 fanteria francese, da 3 battaglioni alpini italiani e da un reggimento della brigata "Campania". Questo apparteneva al XXVII Corpo dell'VIII Armata; gli altri 6 battaglioni francesi e italiani appartenevano alla XII Armata. Tutte queste truppe, sempre combattendo, raggiunsero verso sera la linea Osteria Nuova-S. Vito-Madonna di Caravaggio-Funer-Cà Settolo. La seconda testa di ponte, nella piana di Sernaglia, era costituita da truppe della VIII Armata: a sinistra la brigata "Cuneo" (7° e 8°) e altri elementi del XXVII Corpo, al centro la maggior parte della 57a divisione, a destra la 1a Divisione d'Assalto e il LXXII Reparto d'Assalto del XII Corpo.
Prima a passare fu la 1a Divisione d'Assalto, che con impeto occupò la Linea dei Molini, Moriago, Mosnigo, Fontigo e Sernaglia. Mentre gli Arditi si battevano e avanzavano e lo stesso facevano alla sinistra le altre truppe, la corrente impetuosa e le artiglierie avversarie spezzavano e travolgevano i ponti, mettendo le truppe passate in difficilissima condizione. Malgrado ciò l'azione offensiva fu proseguita. Attaccando risolutamente in direzione nord ed est gli arditi occuparono Falzè, Case Moro e Chiesuola, respingendo numerosi contrattacchi ed ostacolati da centinaia di mitragliatrici nemiche. Parecchie migliaia furono i prigionieri catturati. A metà della giornata un tentativo d'attacco in forze che doveva, partendo da Case Moro, tagliare in due lo schieramento del 3° Gruppo d'Assalto fu sventato da una piccola schiera del XX Reparto d'Assalto, che catturò la colonna avversaria.
Nel pomeriggio gli attacchi nemici si fecero violentissimi. Il LXXII Reparto, attaccato presso C. Mira e Boaria del Magazzeno da forze tre volte superiori, le respinse, le contrattaccò, le avvolse, le catturò. Il 3° Gruppo d'Assalto, rimasto scoperto al fianco sinistro e minacciato d'aggiramento; ripiegò leggermente solo per ubbidire ai comandi superiori; le batterie della I Divisione d'Assalto si comportarono eroicamente nei momenti più critici; molti prigionieri nemici, riarmatisi con le armi disseminate sul campo di battaglia, attaccarono alle spalle gli arditi, che, rivoltatisi, ne fecero un macello. La notte, arditi e fanti della brigata "Pisa" repinsero forti contrattacchi sulla linea presso la Sernaglia. La terza testa di ponte fu formata dalle truppe della X Armata, che, passato il fiume, dilagarono nella pianura di Cimadolmo.
Aspri contrasti dovettero sostenere l'XI Corpo d'Armata italiano (ala destra della X) e il XIV Corpo britannico (ala sinistra): il primo, contrattaccato verso sera violentemente, ripiegò lievemente, il secondo, occupato Borgo Malanotte, fu costretto ad abbandonarlo dalla violenza dei contrattacchi avversari, ma poco dopo tornò a rioccuparlo. Sul fronte della X furono, nella giornata del 27, catturati 5600 prigionieri e 24 cannoni.
La notte del 28 si lavorò senza posa a riattivare i ponti interrotti lottando contro tutte le difficoltà create dalla pioggia, che aumentava il volume e la velocità delle acque, e dal nemico che aveva intensificato il fuoco delle proprie artiglierie ed il tiro con proietti a gas ed iprite. Anche in questa seconda notte l'VIII Corpo d'Armata non riuscì a gettare alcun ponte sul suo fronte tra Falzè e Nervesa. Veniva così a prodursi una vasta soluzione di continuità oltre il fiume fra le truppe dell'VIII Armata e quelle della X. Per colmarla e per agevolare il passaggio dell'VIII Corpo, al quale era affidata l'azione risolutiva su Vittorio, il Comando dell'VIII Armata aveva disposto che altro Corpo di Armata, il XVIII, della propria riserva, passasse il Piave sui ponti della X Armata, per operare nella giornata del 28 dal fianco sinistro di questa in direzione sudnord, puntando su Conegliano e venendo così a liberare in gran parte la fronte dell'VIII, in modo che questo potesse a sua volta effettuare sicuramente il passaggio nella notte successiva.  La mattina del 28 il XVIII Corpo iniziava il passaggio a Solattuol sui ponti della X Armata, pure interrottisi durante la notte e riattati a fatica, e contemporaneamente nuove truppe della XII e dell'VIII Armata (XVII e XXII Corpo) passavano il fiume fra Pederobba e Falzè. L'azione riprendeva su tutta la fronte. Tutta la XII Armata attaccava a cavallo del Piave verso nord; espugnava Alano sulla destra del fiume e le alture di Valdobbiadene (M. Pianar e M. Perle) sulla sinistra, e catturava alcune migliaia di prigionieri. Intanto sul fronte dell'VIII Armata le truppe del XXVII e del XXII Corpo, passate per prime oltre il fiume e rimaste ancora isolate per una nuova rottura dei ponti, resistevano impavide a continui contrattacchi: le instancabili artiglierie le proteggevano dalla riva destra fulminando il nemico e gli aeroplani le rifornivano di viveri, cartucce, coperte.
Ma la tenacia di tutti vinceva la crisi. Il XVIII Corpo, riuscito a far passare oltre il fiume soltanto la brigata "Como" ( 23° e 24°) e un reggimento della brigata Bisagno (209° e 210°, lanciava questa truppe all'attacco risalendo la sinistra del Piave, e a sera, rovesciata ogni resistenza nemica, aveva oltrepassato la ferrovia di Susegana in corrispondenza dei ponti della Priula, aprendo così la via di sbocco all'VIII Corpo d'Armata. Più a sud il XIV Corpo britannico e l'XI Corpo italiano della X Armata, allargando la breccia già aperta nella Kaiserstellung, dilagavano a oriente attraverso la pianura e raggiungevano la linea del Monticano. Lo schieramento dell'avversario sulla riva sinistra del Piave era ormai spezzato in due tronconi; quello meridionale era immobilizzato dalla X Armata, e quello settentrionale, ancora aggrappato alle colline di Conegliano, minacciato di avvolgimento dall'VIII Corpo d'Armata, doveva cedere. L'VIII Armata ripigliava la sua libertà d'azione e la manovra il suo persistente svolgimento.
Nelle prime ore del 29, infatti, l'VIII Corpo, gettati i ponti della Priula, si lanciò a sua volta all'attacco; superata la linea nemica di Marcatelli, s'impadronì di Susegana, e mentre il XVIII Corpo occupava Conegliano, spingeva in avanti con fulminea mossa una colonna celere (lancieri di Firenze e bersaglieri ciclisti) ad occupare Vittorio, che fu raggiunto verso sera. Nel frattempo le truppe della XII Armata, alpini della 52a divisione, fanti della 23a divisione francese e del 1° Corpo italiano, conquistarono M. Cesen, posizione importantissima per il dominio che essa ha sulla stretta di Quero e verso la conca di Feltre; occupavano Segusino e raggiungevano Quero. Particolarmente notevole fu l'avanzata della 52a divisione per la conquista di M. Cesen, compiuta vincendo aspre difficoltà del terreno, rese anche più gravi dalla tenace resistenza nemica. Successivamente colonne dell'VIII Armata irrompevano nel solco S. Pietro di Barbozza-Serravalle, e oltrepassavano Follina. La X Armata varcava il Monticano su ampia fronte. Oltre 8000 prigionieri e un centinaio di cannoni erano catturati dalle Armate XII, VIII e X.
Nel frattempo sul fronte della IV Armata, il nemico, sempre impegnandosi nella lotta, il giorno 27 era passato alla controffensiva: otto attacchi sferrava contro il Pertica, tutti respinti; per sei ore il combattimento infuriò intorno alla vetta e i cadaveri si ammucchiarono sulle sassose pendici. Sul "Valderoa", "Aosta" (5° e 6°), benché soverchiata da forze preponderanti, s'abbrancò alla cima e non piegò. Un'implacabile azione d'artiglieria si svolse da parte nostra il 28; il 29 si riaccese la lotta delle artiglierie sull'Asolone e in Val Cesilla; le colonne italiane tendevano dall'Asolone al Col della Berretta per favorire l'ampliamento dell'occupazione del Pertica e l'espugnazione del Prassolan e del Solarolo e per slanciarsi alla conquista della conca di Feltre, lungo i contrafforti del Roncone e del Tomatico. Il nemico oppose una resistenza accanita, contrattaccò instancabile, recò nella lotta le sue ultime riserve, portando ad 11 le divisioni di linea. Cosi la IV Armata, pur non potendo raggiungere sul terreno l'obiettivo finale assegnatole di interrompere materialmente le comunicazioni fra le truppe nemiche della zona alpina e quelle del piano, riusciva con la sua tenacia nel compito di cooperazione immediata logorando le riserve che l'avversario teneva nella conca di Feltre e impedendo loro di poter essere lanciate nella pianura ad arginare la breccia aperta dall'VIII, dalla X e dalla XII Armata. La disfatta nemica, già delineatasi fin dal giorno 28, decisa il 29, precipitava il 30. Sotto l'inesorabile pressione combinata dalle altre armate di manovra, il fronte frettolosamente rinsaldato dal nemico su posizioni retrostanti veniva di nuovo sfondato in più punti. L'VIII Armata, svolgendo brillantemente il compito assegnatole, convergeva a sinistra con rapida avanzata, si slanciava sulla dorsale delle Prealpi ad oriente del M. Cesen, contro la stretta di Fadalto e sul Consiglio, e puntava alla convalle Bellunese. La I Divisione di cavalleria veniva lanciata in avanti tra l'VIII e la X, obiettivo la Livenza a nord di Sacile, e più oltre il Tagliamento.
Così delineatasi la situazione, il Comando Supremo ritenne giunto il momento di far entrare in azione anche le truppe schierate sul basso Piave. La III Armata che, agli ordini di S. A. R. il Duca d'Aosta aveva fortemente impegnato il nemico di fronte ed attendeva la sua ora, ebbe l'ordine di attaccare. Con l'appoggio di una divisione fatta passare attraverso i ponti della X Armata e spinta verso sud, lungo il Piave, forzò in aspra lotta gli sbocchi di Ponte di Piave, di Salgaredo, di Romanziol, di S. Donà ed avanzò decisamente nella piana, sebbene fortemente ostacolata dall'avversario che si accaniva in tenacissima resistenza di retroguardie per coprire il ripiegamento delle proprie artiglierie. Oltre 3000 prigionieri furono catturati in quella giornata. A sera, dopo vivaci combattimenti, le truppe della XII Armata si erano aperta la stretta di Quero ed avevano allargato la loro occupazione del massiccio del Cesen; l'VIII Armata, raggiunta la cresta della dorsale prealpina da M. Cesen a M. Pezza, combatteva al passo di San Boldo. Più ad oriente aveva forzato la stretta di Serravalle, a nord di Vittorio, oltrepassato Breda Fregosa, Sarmede e Caneva. La X e la III Armata avanzavano verso la Livenza.
Così la battaglia si svolgeva con esatto ritmo crescente secondo il disegno prestabilito. Il Comando austro-ungarico, tratto in inganno dai nostri due sforzi alle ali, sul Grappa e alla Grave di Papadopoli, si era lasciato assorbire verso il Grappa le riserve del Feltrino e verso la X Armata, che aveva il difensivo compito di fianco, la più gran parte delle riserve del piano; cosicché ogni sforzo per contenere la nostra rapida irruzione da Vittorio Veneto verso la convalle bellunese non poteva più giungere che tardivo, e l'aggiramento per il rovescio del Grappa si presentava ormai promettente dei maggiori risultati. Conquistata dalle nostre truppe la stretta di Quero, il nemico che difendeva il settore del Grappa, nella notte dal 30 al 31, iniziò il ripiegamento sul fronte Fonzaso-Feltre per coprire le linee dell'alto Piave con il concorso delle difese organizzate più ad Oriente al passo di S. Boldo e alla stretta di Fadalto. Conosciuto il movimento, il generale GIARDINO ordinò l'avanzata, e le truppe della IV Armata, nonostante l'ostinatissima e fortissima difesa delle grosse retroguardie avversarie appoggiate da numerose mitragliatrici e bocche da fuoco, con spinta vigorosa travolsero la resistenza avversaria e si slanciarono innanzi, sulla conca di Feltre, per i contrafforti del Tomatico e del Roncone e por la valle di Seren. La brigata "Ancona" (69° e 70°) della VI Armata, concorso all'avanzata della IV spiegandosi rapidamente in Val Brenta e conquistando il Cismon su cui furono catturati un migliaio di uomini e 9 cannoni.
La sera del 31 la IV Armata, superate ostinate resistenze nemiche, teneva con la sinistra M. Roncone e spingeva pattuglie nel solco Arsiè-Arton; il 91° fanteria della "Basilicata" catturava a Corlo una brigata austriaca; al centro la "Bologna" (39° e 40°) e la "Lombardia" (73° e 74°) per Val di Seren e i battaglioni alpini "Monte Pelmo", "Exilles" e "Pieve di Cadore" per i monti entravano a Feltre catturando 2000 prigionieri; il 1° Gruppo di squadroni del reggimento cavalleggeri di "Padova", che era al piano, passò di notte il Grappa e per vie difficili sboccò in Val di Seren, donde la mattina del giorno dopo puntò su Belluno, caricando e sbaragliando per via un reggimento bosniaco; alla destra l'"Aosta" (5° e 6°) e l'"Udine" (95° e 96°), per Val Calcino e Val Cinespa, gettandosi attraverso il contrafforte dello Spinoncia e di M. Zoc, bloccarono nelle gole di Schiavenin le forze nemiche riuscite a fronteggiare il I Corpo d'Armata, che costituiva l'ala sinistra della XII Armata. Questa, il 31 sera, avanzando sempre, raggiunse il Piave tra Lential e Mel. L'VIII, superando dopo dieci ore di lotta accanita la resistenza nemica a S. Boldo, scendeva al Piave, espugnava la stretta di Fadolto, lanciava avanguardie verso Ponte delle Alpi ed occupava con colonne leggere il Pian del Consiglio. Lo stesso giorno 31, le divisioni 2a, 3a, e 4a di cavalleria, al comando di S. A. R. il Conte di Torino, dopo aver superato accanite resistenze nemiche, si irradiavano oltre il fronte della X armata. All'alba, pattuglio dei lancieri Vittorio Emanuele" (10°) e "Milano" (7°) entravano in Oderzo, mentre anche sul fronte della VI Armata (altopiano d'Asiago) i nostri sferravano l'offensiva espugnando Melaghetto e la linea Cima Tre Pezzi-Fortino Stella-Canove".
"La notte successiva, nel Porto di Pola, il maggiore del Genio Navale ROSSETTI e il medico di ALARINA PAOLUCCI facevano per mezzo di uno speciale congegno affondare la corazzata austriaca "Viribus Unitis".

L'INSEGUIMENTO
TRENTO E TRIESTE OCCUPATE -
L'ARMISTIZIO DI VILLA GIUSTI
L'ULTIMO BOLLETTINO DI GUERRA
DEL COMANDO SUPREMO

Il 31 ottobre la decisiva battaglia, che poi si chiamò di Vittorio Veneto, poteva considerarsi finita.
Occorreva ora sfruttare la vittoria e continuare a liberare dall'invasore le terre fino allora irredenti alle cui popolazioni, per mezzo di aeroplani, il generale Diaz lanciava il 1° novembre il seguente proclama:

"Fratelli dell'Italia! L'esercito italiano avanza vittorioso a liberarvi per sempre.- Il nemico in rotta, fuggendo dalle vostre città fedeli, gloriose, annuncia il nostro arrivo, la nostra vittoria. Lascia dietro sé decine di migliaia di prigionieri, centinaia di cannoni tutte le sue ambizioni. Il giuramento dei nostri eroi si è compiuto; per la forza delle armi e della giustizia si è avverato il vaticinio dei nostri martiri; la libertà è risorta, nel nome di Roma, su, dalle sante tombe dei nostri morti. Dopo un secolo di guerra, di speranze e di ansie, tutta la Patria si riunisce intorno al suo Re. Fratelli ! Siate nella gioia calmi e saldi quali foste lungo il dolore depositari incorruttibili della più pura e umana civiltà che abbia mai fatto la luce sul mondo. Del nemico vinto non dimenticato le iniquità e le insidie, ma respingente il triste esempio di crudeltà e violenza. Da oggi l'esercito d'Italia è il vostro esercito. Aiutatelo a ristabilire l'ordine pel bene di tutti, come tanti di voi, da Cesare Battisti a Nazario Sauro, l'hanno aiutato a raggiungere questa vittoria".

Il 1° novembre il Comando Supremo emanò gli ordini per l'inseguimento: la I Armata doveva avanzare su Trento; la VI puntare verso il fronte Egna-Trento; la IV verso il fronte Bolzano-Egna; l'VIII oltre la convalle bellunese per la via del Cadore e quella di Agordo tra Bruneck e Bolzano spingendo un distaccamento a Toblach; la VII verso il fronte Mezolombardo-Bolzano. La XII doveva raccogliersi nella conca di Feltre; la X e la III dovevano avanzare al Tagliamento e il Corpo di Cavalleria spingersi oltre per prevenire il nemico ai ponti dell'Isonzo.
Dal bollettino: "Il 1° novembre, l'VIII Armata proseguiva l'avanzata: il 253° fanteria (brigata Porto Maurizio), dopo aver sostenuto quattro combattimenti notturni, entrava in Belluno tagliando le comunicazioni con l'Alto Piave a truppe nemiche in ritirata da Feltre, che venivano costrette a inoltrarsi in Val Cordevole; un'altra colonna da Fadalto piombava su Ponte delle Alpi e puntava immediatamente su Longarone e Pieve di Cadore. La IV Armata procedeva con la sinistra (21a divisione) per la Valsugana e superava di viva forza Grigno, chiudendo lo sbocco della rotabile della Malcesina agli Austriaci dell'Altopiano d'Asiago. Qui - scrive sempre la relazione del Comando Supremo - le truppe italiane, vincendo tenacissime resistenze avevano nello stesso giorno 1° novembre conquistato importantissimi vantaggi. Precedute dai Reparti d'Assalto LII e LXX, che sfondavano la linea M. Ferragli-pendici nord Sisemol-StenzeMelaghetto e Ghelpach-Eck-Covola-Val Ronchi, le truppe del XIII Corpo italiano e la 24a divisione francese avevano raggiunto il mattino del 1° novembre M. Longana e il pomeriggio la linea M. Nos-Casera Melena-Ristecco, aprendo uno squarcio enorme nella compagine della fronte nemica. La favorevole situazione venne subito sfruttata spingendo la 24a divisione francese per M. Nos, M. Cimone, M. Baldo a occupare la strada di arroccamento Campomulo-Val di Nos e lanciando truppe italiane, all'inseguimento sulla direttrice M. Sbarbatal-Fiara-Colombara-Val Galmarara allo scopo di agevolare sulla loro sinistra l'avanzata della 48a divisione britannica (XII Corpo d'Armata italiano), che urtatosi contro insormontabile resistenza sulle posizioni Camporovere-Rasta-M. Interrotto, sbarramento della Val d'Assa (linea principale di ritirata per il nemico) manovrava per prenderlo sul fianco e di rovescio per M. Mosciagh. Le valorose truppe britanniche, manovrando tutta la notte, riuscirono a impadronirsi di M. Mosciagh e di M. Interrotto, congiungendosi con l'altra divisione (20a italiana) del Corpo d'Armata che aveva forzato il passaggio dell'Assa tra Rotzo e Roana, al margine occidentale dell'Altopiano. Al margine orientale di questo le truppe italiane avevano nella stessa giornata conquistato, a prezzo di durissimi sforzi, il poderoso sistema fortificato delle Melette, il M. Badenecche, il M. Lambara e il Sasso Rosso e con fulminea mossa si erano affermate su M. Lisser. Sull'orlo di Val Brenta, reparti del 70° fanteria (brigata "Ancona"), scalando faticosamente per mezzo di cordato le impervie pendici di M. Spitz e di M. Chior, su cui il nemico tentava un'ostinata resistenza, erano riusciti ad impadronirsi dei pianori terminali, catturandovi 35 cannoni di tutti i calibri, subito rivolti contro- il nemico in fuga verso Enego.
La I Armata, sebbene ridotta a sole 5 divisioni e a un gruppo alpino distesi su 60 chilometri di fronte, fin dal 31 aveva provveduto a raccogliere in Val Lagarina una massa d'urto sufficiente per dare un colpo decisivo nella direzione assegnatale:Trento.
Ai fianchi della massa d'urto, truppe laterali dovevano impegnare il nemico sul Pasubio e sulle pendici dell'Altissimo. All'estrema destra della I Armata, il X Corpo doveva assecondare il movimento in avanti della VI sull'altopiano d'Asiago.
La X Armata e la III impiegarono la giornata del 1° novembre ad assicurarsi il passaggio sulla Livenza. La X riuscì a superare la Livenza tra Motta e Sacile; la III s'impadronì delle teste di ponte di Motta e di Tezze, accanitamente difese da forti retroguardie nemiche. Anche il Corpo di Cavalleria procedeva: la sera del 1° novembre la I divisione si trovava nei dintorni di Vittorio Veneto; la 2a con una brigata tra Livenza e Meduna ad est di Portobuffolè ed una brigata in riserva ad Orsago.; la 3a tra Vigonovo e Rovereto e la 4a a Pordenone.
Verso le ore 15 del 2 novembre - citiamo sempre la relazione del Comando Supremo - il XXIX Reparto d'Assalto con uno sbalzo fulmineo si slanciò sullo sbarramento di Serravalle, ne annientò il presidio in fiera lotta a corpo a corpo, si gettò impetuosamente nella angusta breccia aperta, subito seguito dal IV Gruppo Alpino (battaglioni "M. Pavione, M. Arvernis e Feltre"). Allo ore 20,45, superate nuove successive difese nemiche, gli arditi e gli alpini entravano in Rovereto e l'occupavano catturando varie centinaia di prigionieri e decidendo per avvolgimento anche la sorte delle forze avversarie, che sebbene sloggiate dal Pasubio e dal Passo della Borcola grazie l'impeto delle nostre colonne d'attacco del V Corpo d'Armata, ancora si difendevano accanitamente in Val Terragnolo e in Vallarsa. Squadroni di Cavalleggeri d'Alessandria (14°) furono immediatamente lanciati sulla via di Trento, dove entrava per primo il 3° alle ore 15.15, insieme agli infaticabili arditi del XXIX Reparto d'Assalto, con gli arditi del IV Gruppo Alpini e con gli artiglieri del X Gruppo da montagna. Tra il delirante entusiasmo della popolazione, dinanzi ad una turba immensa di soldati austriaci sorpresi nella città, il tricolore venne issato sul Castello del Buon Consiglio.
All'estrema destra del fronte di manovra Trentino-Pusterthal, colonne dell'VIII Armata, travolte le resistenze nemiche incontrate a Ponte delle Alpi, a Fortogna, a Longarone, agli sbocchi di Val Cordevole e di Val Mis, irruppero nella conca d'Agordo raggiungendo Cencenighe, dilagarono nell'alta valle del Piave e in Val Boite, occupando Doncegge, Chiapuzza e Selva. Avanguardie della XII Armata che si venivano raccogliendo nella conca di Feltre cooperavano intanto con le truppe della IV Armata a vincere la resistenza al Ponte della Serra, sconfiggevano retroguardie a nord-ovest di Pedavena, allargavano l'occupazione nei monti a nord di Feltre.
Sul fronte della IV Armata, aspre lotte furono combattute e vinte il 2 e il 3; in Valsugana, rovesciata presso Castelnuovo la resistenza nemica che tentava di sbarrare la via di Trento e di coprire la ritirata con le sue colonne da Borgo verso la Val d'Avisio, le nostre avanguardie furono spinte in avanti. Alle ore 18 del 3 novembre il primo squadrone di cavalleggeri di Padova entrò a Levico; alle ore 20 a Pergine; alle 22 a Trento, dove si unì alle avanguardie della I Armata. Una colonna occupò il 2 e il 3 la conca di Tesino. Alla stretta di Fonzaso, l'avversario, appoggiato a salde sistemazioni in caverne, difese accanitamente il Ponte della Serra durante la giornata del 2 per coprire il deflusso delle sue truppe lungo la Val di Cismon. Fu travolto; Fonzaso era stata occupata prima di mezzogiorno; i suoi abitanti avevano aiutato e guidato i nostri contro le retroguardie austriache che si difendevano disperatamente; alcuni di loro, uomini e donne, pagarono con la vita il patriottico ardimento. Colonne lanciate attraverso le montagne raggiunsero alle ore 14 del giorno 4 Fiera di Primiero, dove bloccarono e catturarono 10.000 prigionieri, 60 cannoni, il carreggio del XXVI Corpo d'Armata austriaco, occupando Carnale S. Bovo.
Sugli ALTIPIANI la VI Armata, dopo accaniti combattimenti sostenuti nelle giornate del 2 e del 3 con forti retroguardie avversarie, compiendo marce faticosissime, con dislivelli continui, raggiunse il 3 Caldonazzo e Levico e il 4 Roncegno. La VII Armata, entrata nella lotta nel pomeriggio del 2 con una violentissima azione d'artiglieria dallo Stelvio al Garda, aveva iniziato la notte del 3 la scalata di M. Pari per scavalcarlo e scendere di là nella conca del Riva a dar la mano all'ala sinistra della I Armata che vi puntava dall'Altissimo. Nella giornata del 3, infranti gli sbarramenti di Val Chiese e del Tonale dove i presidi sorpresi vennero catturati al completo con le armi alla mano, vinta anche l'accanita resistenza allo Stelvio, le truppe della VIII Armata traboccarono nella Val Giudicarie, in Val Vermiglio e in Val Trafoi; scesero in Val di Sarca e a Riva, raggiunta attraverso il lago con il concorso di mezzi della R. Marina. Con celerissima avanzata, dalla Val Vermiglio alpini in autocarri, cavalleggeri ed artiglieri montati, superando fatiche sovrumane e gravi ostacoli di terreno, oltrepassarono Malè, sboccarono a Dimaro incrocio dello sbocco della strada di Madonna di Campiglio alle truppe nemiche in ritirata dalle Giudicarle, procurando così la cattura dell'intero comando del XX Corpo d'Armata e della 49a divisione al completo di truppe e servigi, raggiunsero Cles e il Colle della Mendola a 15 km. da Bolzano. Una colonna scese dallo Stelvio in Val Venosta, vi intercettò le comunicazioni tra l'Alto Adige e il Tirolo per la Porta Resia (Passo di Reschen). Altre avanguardie, lanciate avanti dalle Giudicarle con mezzi celerissimi, raggiunsero la mattina del giorno 4, Mezzolombardo, branca sinistra della grande morsa di manovra, che con la destra aveva afferrato Trento; e chiudendo così in una ferrea stretta l'esercito nemico del Trentino, al quale veniva tagliata anche la ritirata per la Val d'Adige su Merano e su Bolzano. Anche nel piano l'avversario, incalzato senza tregua dalle truppe della X e della III Armata, batteva in frettolosa ritirata lasciando un grande bottino nelle nostre mani e parecchie migliaia di prigionieri. Ormai tutto l'esercito austroungarico era in pieno sfacelo. Sull'intera fronte dallo Stelvio al mare le sue colonne erano in fuga, dovunque inseguite, sopravanzate, bloccate dalle nostre celeri avanguardie. Naturalmente, al piano, si distinse per celerità nell'inseguimento la cavalleria. Una colonna (De Ambrosi) della I divisione, superata breve resistenza al Meduna, occupò la sera del 2 Maniago e Travesio e, rovesciate nuove difese nemiche, prese, il 3, Pinzano e le alture di Campeis. La III divisione, che aveva il compito di puntare su Udine e Cividale, informata che due colonne nemiche si erano dirette nella notte al ponte di Pinzano o a quello di Bonzicco, la mattina del 2 lanciò da Tauriano il reggimento Cavalleggeri "Saluzzo" (12°) su Pinzano e il reggimento lancieri di "Montebello" (8°) su Bonzicco. Il primo, caricata e dispersa presso Istrago la colonna inseguita, raggiunse Pinzano, il secondo, trovato il nemico a Barbeano e Provesano, ne vinse la resistenza; il resto della divisione, occupato a viva forza Spilimbergo difesa da forti retroguardie con cannoni e mitragliatrici, spinse il reggimento "Savoia Cavalleria" al Tagliamento, il quale fu guadato presso S. Odorico la mattina del 3 dal grosso della divisione, che costrinse alla resa una divisione nemica, la 44a, schierata alla sponda sinistra con 20 batterie. Uno squadrone del "Savoia", galoppando avanti entrò alle ore 13.30 a Udine, dove già i cittadini erano in armi, guidati da prigionieri italiani e da nostri ufficiali che parecchi mesi prima si erano introdotti nelle terre occupate dal nemico, donde, travestiti, avevano dato preziose informazioni al nostro Comando. La IV divisione, all'alba del 2 occupò, dopo vivace lotta Cordenons, raggiunse il ponte di Bonzicco distrutto dal nemico, e spinse il 1°, il 7° e l'8° battaglione bersaglieri ciclisti verso i porti della Delizia; il 3 passò il fiume presso S. Odorico, contribuì al disarmo della 44a divisione austriaca, irradiò le sue colonne nella pianura, assalì e catturò un forte reparto nemico schierato con artiglieria e mitragliatrici presso il cimitero di Gallierano ed altri nuclei che resistevano e Flumignacco e impose la resa a truppe e comandi nemici nella zona di Pozzuolo del Friuli. Il 3 novembre, alla stessa ora circa in cui i nostri entravano a Trento e a Udine, entravano nel porto di Trieste, la quale, da tre giorni in rivolta, obbediva a un comitato di salute pubblica, i cacciatorpediniere Audace, Là Mass, Fabrizi, Missori, Orsini, Acerbi, Stocco e Pilo, che recavano il generale PETITTI di Roreto, il 7° e l'11° reggimento bersaglieri e altri minori elementi di armi speciali, accolti nella città italianissima dal popolo delirante di gioia.
Già fin dal 29 ottobre, delineatasi la sua sconfitta, il nemico aveva pensato a chiedere l'armistizio, reclamato anche dalla caotica situazione interna della Monarchia austro-ungarica. Cominciati gli abboccamenti il 30 ottobre, si conclusero il 3 novembre alle 15.20 a Villa Giusti, presso Padova, dove fu firmato l'armistizio, il quale doveva avere esecuzione a partire dalle ore 15 del 4 novembre.
Plenipotenziari italiani furono: il generale BADOGLIO, presidente, il generale SCIPIONI, il colonnello degli alpini MARCHETTI, il colonnello di S. M. GAZZERA, i colonnelli MARAVIGNA e PARIANI, il capitano di vascello ACCINNI, interprete il capitano TREMER, cognato di Cesare Battisti. Plenipotenziari austriaci furono il generale WEBER von WEBENAU, il colonnello CARLO SCHNELLER, i tenenti colonnelli barone VITTORIO SEILER e FRANCESCO MYEKHEGVI, il capitano di fregata principe GIOVANNI LICHTENSTEIN, il capitano di corvetta GIORGIO ZWIERKOWSKI e il capitano di Stato Maggiore CAMILLO RUGGERO.
Le condizioni dell'armistizio fatte pervenire da Versailles, erano raggruppate in 19 clausole, 8 militari e 11 navali.


Ma ad Abano il Comando Supremo aggiunse a queste altre 19 "Condizioni aggiuntive".
Intanto l'avanzata delle truppe continuava. Il 4 novembre, dopo vivaci scontri, la I divisione di cavalleria raggiungeva Tolmezzo e Stazione per la Carnia sorprendendovi il Comando e gran parte della 35a divisione austriaca. Alle 15 le automitragliatrici della colonna, catturato un Comando di Corpo d'Armata e mitragliato un treno in movimento presso Pontebba, entrarono in Chiusaforte, spingendo una pattuglia a Pontebba. Alla stessa ora giungeva a Tolmezzo la colonna proveniente dalla valle di Meduna. Tra Gemona e Vanzone rimasero bloccate 3 divisioni austriache (41a e 51° Honved e il 12a cavalleria appiedata) che per concessione del nostro Comando Supremo ebbero poi il passo libero lasciando cannoni e fucili. La 3a divisione di Cavalleria alte 11 del 4 era giunta tutta a Udine e proseguiva per Cividale; alle ore 15 suoi elementi erano a Robic. Alle 15 dei 4 elementi celeri della 4a divisione di cavalleria erano a Cormons, Manzano e Buttrio. La 2a divisione da Pordenone raggiunse con la 3a brigata, il giorno 4, il Tagliamento, lo guadò, puntò per Codroipo su Palmanova, vinse la tenace resistenza di una retroguardia nemica asserragliata in Morsano ed entrò alle 15 in Montegliano.
Elementi avanzati avevano oltrepassato Palmanova e raggiunto Joanniz. Una colonna celere che precedeva la 4a brigata ciclisti di cavalleria, bersaglieri ciclisti, automitragliatrici e più tardi due squadroni del "Piemonte Reale", vinte successive resistenze, occupava prima delle ore 15 del 4 novembre Cervignano e Grado. Al momento in cui, per effetto dell'armistizio, venivano sospese le ostilità la linea da noi raggiunta dallo Stelvio al mare era: Sluderno, Spondigna e Prato di Venosta in Val Venosta; Malè e Clès in Val di Sole; Passo della Mendola, Roverè della Luna e Salorno in Val d'Adige; Cembra in Val d'Avisio; M. Panarotta in Valsugana, Conca di Tesino, Fiera di Primiere, Chiappuzza, Domegge, nelle Dolomiti; Pontebba, Robic, Cormons, Cervignano, Aquileia, Grado nelle Alpi Giulie e nel Friuli orientale".

Così finiva la guerra in Italia, che, pochi giorni dopo doveva provocare la fine della resistenza germanica; finiva con la totale sconfitta dell'esercito avversario, di cui solo metà e in tristissime condizioni riusciva a salvarsi. Circa 400 mila prigionieri e 6000 cannoni, a conti fatti, rimasero nelle nostre mani con enormi quantità di altre armi, munizioni e altro materiale.
La sera del 4 novembre, il generale DIAZ lanciava al mondo l'ultimo bollettino di guerra:

"La guerra contro l'Austria-Ungheria che, sotto l'alta guida di S. Maestà il Re - Duce Supremo - l'esercito italiano, inferiore per numero e per mezzi, iniziò il 24 maggio 1915 e con lode incrollabile e tenace calore condusse, ininterrotta ed asprissima per 41 mesi, è vinta. La gigantesca battaglia ingaggiata il 24 dello scorso ottobre ed alla quale prendevano parte 51 divisioni italiane, 3 britanniche, 2 francesi, 1 cecoslovacca ed 1 reggimento americano contro 73 divisioni a. u., è finita. La fulminea, arditissima avanzata del XXIX Corpo d'Armata su Trento, sbarrando le vie della ritirata alle Armate nemiche del Trentino, travolte ad occidente dalle truppe della VII Armata e ad oriente da quelle della I, VI e IV; ha determinato ieri lo sfacelo totale del fronte avversario. Dal Brenta al Torre l'irresistibile slancio della XII, dell'VIII e della X Armata e delle divisioni di Cavalleria ricaccia sempre più indietro il nemico fuggente. Nella pianura S. A. R. il Duca d'Aosta avanza rapidamente alla testa della sua invitta III Armata, anelante di ritornare sulle posizioni già gloriosamente conquistate, che mai perse.
L'esercito austro-ungarico è annientato: esso ha subito perdite gravissime nell'accanita resistenza dei primi giorni di lotta, e nell'inseguimento ha perduto quantità ingentissime di materiale di ogni sorta e pressoché per intero i suoi magazzini ed i depositi; ha lasciato fino ad ora nelle nostre mani circa trecentomila prigionieri con interi Stati Maggiori e non meno di cinquemila cannoni".
Poi in fondo al messaggio originale stampato, DIAZ aggiunse con la sua calligrafia la seguente frase:
"I resti di quello che fu uno dei più potenti eserciti del mondo risalgono in disordine e senza speranza le valli che avevano discese con orgogliosa sicurezza".
 ARMANDO  DIAZ
La vittoria c'era, ma ben presto ci furono per l'Italia, anche tante amarezze, che erano quasi pari a quelle dei vinti.




Fonti, citazioni, testi, bibliografia

Prof. PAOLO GIUDICI - Storia d'Italia - (i 5 vol.) Nerbini 1930
A.TAMARO - Il trattato di Londra e le rivendicazioni italiane, Treves, 1918
TREVES - La guerra d'Italia nel 1915-1918 - Treves. Milano 1932
A. TOSTI - La guerra Italo-Austriaca, sommario storico, Alpes 1925
COMANDINI - L'Italia nei cento anni - Milano
STORIA D'ITALIA Cronologica 1815-1990 -De Agostini
CRONOLOGIA UNIVERSALE - Utet
STORIA D'ITALIA, (i 14 vol.) Einaudi


Qui un video con il canto "La leggenda del Piave", canto simbolo della Grande Guerra.






PRESENTE! PRESENTE! PRESENTE!


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