Salviamo i nostri Marò

Salviamo i nostri Marò
I nostri due militari devono tornare a casa

Siamo contro ogni genere di Discarica nel nostro Territorio!

mercoledì 30 novembre 2011

NOI CREDIAMO.


E' uscito ieri in libreria "NOI CREDIAMO" 
Libro di Giorgia Meloni.
Acquistatelo!






Noi crediamo
Giorgia Meloni

Un inno alla forza dirompente dei giovani. Storie di ragazzi e ragazze che hanno cambiato l'Italia nel racconto del ministro più giovane nella storia della nostra repubblica.







"Noi crediamo. Crediamo nei giovani, nella politica, nella giustizia, nell'eguaglianza, nel merito. Crediamo nella nostra Nazione, una Nazione nata centocinquant'anni fa dal sacrificio di un gruppo di ragazzi, molti dei quali poco più che ventenni. Una banda di idealisti, sognatori e poeti, capaci di abbandonare tutto e prendere le armi per inseguire l'utopia dell'unità nazionale."

In un momento di crisi - della politica, dell'economia, degli ideali - serve ricordare da dove veniamo, il nostro patrimonio di valori e cultura, la nostra identità. Perché, mai come ora, è pericoloso cedere alla tentazione del disimpegno, dell'apatia e del qualunquismo mascherati da lotta alla "Casta", da antipolitica. È vero, quella di oggi è una società bloccata. Bloccata da rendite di posizione, dalla mancanza di mobilità sociale, da vecchi schemi che non corrispondono più alla realtà, che invece è profondamente mutata. E sono i giovani a pagare il prezzo più alto, costretti a vivere un presente di precarietà e a immaginare un futuro ancora più incerto.
Per loro c'è bisogno di aggredire dalle fondamenta la società dei privilegi consolidati e costruire sulle sue macerie l'Italia del merito capace di far emergere e premiare l'energia visionaria, la tenacia, il talento. Giorgia Meloni, il più giovane ministro nella storia della Repubblica, ha raccolto le storie di ragazzi e ragazze che vivono con coraggio, determinazione,  passione.
Alcuni sono famosi, come Federica Pellegrini o Mirco Bergamasco, altri no, ma non sono meno importanti, perché tutti protagonisti di storie esemplari e avvincenti, che meglio di molti discorsi illustrano i princìpi - dalla lotta alla mafia alla difesa della vita - per cui l'autrice si batte da anni e che ne hanno ispirato l'intera attività politica. Sono storie che nascono da un incontro, da una sintonia di valori, dalla certezza che le vite di questi giovani servono ad altri. E che servono all'Italia per essere un Paese migliore.

30 Novembre 1938 – In ricordo di Corneliu Zelea Codreanu.


"Colui che entra in questa lotta, deve sapere fin dall'inizio che dovrà soffrire. Dopo la sofferenza viene sempre la vittoria. 
Colui che saprà soffrire, quegli vincerà. Perciò noi legionari accetteremo le sofferenze con onore. Ogni sofferenza è un passo verso il riscatto, verso la vittoria. Una sofferenza non scoraggerà il legionario, ma lo renderà d'acciaio, temprerà il suo spirito. Coloro che hanno sofferto ed ancora soffriranno, saranno veramente eroi della lotta legionaria. La benedizione della Patria si stenderà sopra di loro e sopra le loro famiglie."

Corneliu Zelea Codreanu

Nacque il 13 settembre del 1889 a Iasi, piccola città della Moldavia settentrionale romena, immersa in una natura aspra e severa, da padre di origine rutena e da madre di etnia tedesca. Cornelius Zelinski, poi con il nome di battaglia, Corneliu Zelea Codreanu, all’età di undici anni entrò in una scuola militare dove ricevette un’educazione rigida e severamente religiosa. Maturò fin dall’adolescenza grande interesse per la causa nazionale. Esagerato senso dell’onore, rispetto per la gerarchia, amore per la disciplina, nazionalismo esasperato e misticismo religioso. Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, anche la Romania fu scossa dalle lotte politiche tra nazionalisti di destra e comunisti. Corneliu Zelea Codreanu tentò di arruolarsi, pur non avendo ancora l’età consentita, aumentando a dismisura i sentimenti nazionalisti ai quali si aggiunsero, dopo la rivoluzione bolscevica, l’avversione all’Unione Sovietica e le comunità ebraiche della Moldavia. Si iscrisse all’Università presso la Facoltà di Giurisprudenza iniziando la carriera politica, che in quel periodo significava soprattutto scontri di piazza e azioni dimostrative. Frequentò prima, Alexandru Cuza, leader nazionalista, poi, fondò la “Guardia della Coscienza Nazionale”. Dopo alcuni studi effettuati come studente presso l’Università di Berlino e di Jena, ritornò in patria nel 1922, fondando con l’amico Cuza, la “Lega per la Difesa Cristiano – Nazionale”. Un’organizzazione molto più battagliera rispetto alla prima, basata soprattutto sulla lotta violenta contro il comunismo e gli ebrei, visti come i capi della sinistra in Romania. Infatti quando il Re, Ferdinando I, il 28 marzo del 1923, modificò la Costituzione consentendo agli ebrei di ottenere la cittadinanza romena, Corneliu Zelea Codreanu, progettò l’assassinio del politico Bratianu, fallito, poi, per un tradimento interno al gruppo. Nell’ottobre del 1923 fu arrestato e rinchiuso nel carcere di Bucarest. In quel periodo sviluppò l’idea di creare la “Legione dell’Arcargelo Michele”, organizzazione paramilitare, e autoproclamandosi “Capitano” sostenendo di aver avuto una visione mistica dell’Arcangelo Michele e la convinzione della rinascita della Romania solo dopo la scomparsa degli ebrei dal paese. Al termine del periodo di reclusione, riprese intensamente l’attività politica, accettando la candidatura nella città di Focsani, senza però ottenere risultati eclatanti. Corneliu Zelea Codreanu decise di dare una drastica reimpostazione all’azione di propaganda muovendosi per le zone rurali più profonde del paese, facendo leva sui principi del cristianesimo ortodosso e sui sentimenti nazionalisti di molti contadini. Con la morte del Re Ferdinando I, il debole governo di reggenza, la denuncia della corruzione diffusa tra i politici, e soprattutto la salita al trono dell’inetto Re Carol II, nel 1930, la popolarità di Corneliu Zelea Codreanu crebbe ulteriormente tanto da diventare un eroe popolare. Al contrario, i gruppi di potere, lo guardavano con ostilità e sospetto sempre maggiore. Il 20 giugno del 1930 nacque il braccio armato della legione ossia la “Guardia di Ferro”. L’obiettivo era quello di contrastare il bolscevismo che mirava i confini dello Stato, e il capitalismo degli ebrei che controllavano la vita economica e politica del paese. Corneliu Zelea Codreanu sosteneva che bolscevismo e capitalismo erano due facce della stessa medaglia e che la rivoluzione spirituale era ancora più importante e necessaria di quella sociale per la creazione di un uomo nuovo in grado di edificare una grande Romania libera e sovrana. I legionari si impegnarono per migliorare le condizioni di vita dei contadini e degli operai, costruendo dighe, avviando raccolte di fondi, iniziando battaglie pacifiche ma anche violente. Il primo giugno del 1931 il movimento del Capitano Codreanu partecipò per la prima volta alle elezioni politiche raccogliendo soltanto poco più di quarantatremila voti e non riuscendo ad eleggere nessun deputato al Parlamento. Alle elezioni parziali, nel distretto di Neamt, invece, riuscì a farsi eleggere deputato. Nel marzo del 1932 il governo di Carol II sciolse la Guardia di Ferro, ma Corneliu Zelea Codreanu e i suoi legionari si presentarono alle elezione dell’estate dello stesso anno cogliendo il primo significativo successo elettorale e riuscendo a portare in Parlamento cinque deputati. Nonostante l’entrata in Parlamento, il Capitano Codreanu non modificò gli atteggiamenti politici della Guardia di Ferro che continuarono azioni di violenza contro gli oppositori. Il Re Carol II comprese che il movimento di Corneliu Zelea Codreanu poteva rappresentare una pericolosa alternativa al suo potere. Il 10 dicembre del 1933 il governo del Primo Ministro Duca, grazie ad una nuova Costituzione, sciolse per la seconda volta l’organizzazione paramilitare, arrestando e perseguitando miglia di legionari in tutta la Romania e costringendo Corneliu Zelea Codreanu ad agire in clandestinità. In quel periodo, il Capitano Codreanu comprese la necessità di affiancare alle Guardie di Ferro, un partito nazionalista legalizzato in grado di presentarsi alle elezioni. Tra il 1934 e il 1937 Corneliu Zelea Codreanu, impressionato dalla crescita di nuovi aderenti e dalla presa di potere della Germania nazista, tentò di accelerare la trasformazione del movimento. Il primo passo fu la creazione del partito denominato “Tutto per la Patria” dove la presidenza venne affidata all’ex Generale Gheorghe Cantacuzino. Il processo di legalizzazione si sviluppò con un maggior collegamento con il fascismo italiano e il nazismo tedesco. I fondi provenienti dall’Italia e dalla Germania, furono la carte vincente per l’elezioni che si tennero il 20 dicembre del 1937. Infatti il partito di Corneliu Zelea Codreanu ottenne il sedici per cento dei consensi e sessantasei seggi al Parlamento. Il governo fu costituito tra il partito “Nazional Cristiano”, dell’amico Alexandru Cuza, e il partito “Nazionale Contadino” di Octavian Goga. Il nuovo governo operò, in politica estera, un riavvicinamento alla Germania e all’Italia, varando una politica antisemita togliendo la nazionalità romena a quasi duecentomila ebrei. Ma il governo Goga rimase in carica per soli quarantaquattro giorni, presentando le dimissione il 10 febbraio del 1938 al Re Carol II che incaricò di formare il nuovo governo al Patriarca Miron Cristea. Dopo due giorni, con un colpo di stato, il Re Carol II istituì una dittatura reale annullando la Costituzione, sopprimendo i partiti e creando un partito unico il “Fronte della Rinascita Nazionale”. L’obiettivo era di avvicinarsi alla Francia e alla Gran Bretagna temendo che l’Ungheria, entrata nell’orbita delle potenze fasciste, poteva chiedere ed ottenere la Transilvania. Il 17 aprile del 1938, Corneliu Zelea Codreanu fu arrestato e dopo un processo sommario, condannato ad un lunghissimo periodo di detenzione con l’accusa di aver tradito la Patria in favore di potenze straniere. La repressione del movimento trovò il suo apice nel novembre dello stesso anno, quando Corneliu Zelea Codreanu, insieme ad altri tredici legionari, furono trasferiti in un nuovo penitenziario e durante il tragitto furono strangolati contemporaneamente da altrettante guardie carcerarie. I corpi furono sfigurati con sostanze acide e poi occultati in una fossa comune in aperta campagna. La versione ufficiale, diramata dalle forze governative, fu di tentata fuga collettiva messa in atto durante il trasferimento, ma le ricostruzioni successive e varie testimonianza, tra cui alcuni secondini, fu di strage premeditata. Intanto la guida della Guardia di Ferro fu affidata al nuovo leader Horia Sima, un uomo certamente poco carismatico rispetto al Capitano Codreanu, ma capace di governare brevemente il paese insieme al Generale Antonescu dal 6 settembre del 1940 al 23 gennaio del 1941. In quel periodo, Horia Sima, non fu in grado di trasformare il movimento in un partito di governo. Lo stesso Generale Antonescu, stanco ormai delle violenze interne al paese causate dalla Guardia di Ferro, decise di sciogliere e sgominare definitivamente il movimento. Molti rappresentati furono costretti a fuggire in esilio e dopo la caduta del regime di Ceausescu, fu proibita la ricostituzione dalla Costituzione romena.

Corneliu Zelea Codreanu




martedì 29 novembre 2011

Il Comitato "In nome del popolo sovrano"




Il Comitato "In nome del popolo sovrano" nasce come risposta alla situazione in cui si trova l'Italia in seguito alla crisi finanziaria internazionale. I cosiddetti "mercati", l'Unione Europea, la Banca Centrale Europea ma soprattutto le centrali della grande finanza internazionale hanno deciso di commissariare l'Italia imponendo dall'alto prima una serie di interventi, poi addirittura un governo formato da persone "amiche"!

Ma in una democrazia soltanto il popolo è sovrano e ha diritto a scegliere da chi farsi governare!

Qualunque siano le nostre idee politiche, noi riteniamo che non sia ammissibile che qualcuno imponga un governo non eletto dal popolo soltanto per tutelare i propri interessi economici. L'Italia ha bisogno di grandi riforme e di urgenti misure per affrontare la crisi internazionale ed eliminare le sacche di privilegi e di ingiustizia sociale che ancora sopravvivono, ma a farlo deve essere un governo democraticamente eletto perché il popolo è sovrano!

Noi diciamo :
No allo strapotere delle banche, al dominio dell'economia sulla politica, alla grande finanza che detta le regole alle democrazie.
No ad eventuali interventi politici decisi da un governo che non rappresenta nessuno.
No ad un governo tecnico senza limiti di tempo e di competenze!

Se Monti deve essere, pretendiamo che si occupi soltanto di economia e concretizzi le promesse fatte dal precedente governo.
E appena ottenuto il risultato dia le dimissioni!
Non sarà il popolo italiano a pagare il conto di una crisi internazionale. Saremo sentinelle a difesa della sovranità del popolo sulla nostra terra!  

La soluzione alla crisi non è l'antipolitica, 
è la politica!


http://www.comitatopopolosovrano.it


lunedì 28 novembre 2011

Tornare o no ai vecchi conii nazionali? Un dubbio che assilla l’Europa. Soprattutto l’Italia...



Ormai la debolezza e/o l’inconsistenza della politica monetaria europea è sotto gli occhi di tutti. Le difficoltà europee ci hanno mostrato che l’euro è solo una finzione economica che ci ha illusi per dieci anni. La verità è che siamo tiranneggiati dalla Germania e che la politica economica dell’UE si decide nei suoi palazzi.

Non sono un esperto di finanza ed economia, ma è sotto l’occhio di tutti che l’Europa dell’euro sta fallendo miseramente. Per quanto mi riguarda, e per quanto possa capire esattamente quello che sta accadendo, l’euro si sta rivelando un misero fallimento: troppo costoso per alcune nazioni con strutture economiche “deboli” (vedi l’Italia); troppo debole per altre nazioni con un’economia più solida e strutturata (vedi la Germania). In questo contesto, la tendenza è la disgregazione, ed è quello che sta avvenendo in Europa. È stata sufficiente un’ondata speculativa, per mettere a nudo un progetto (quello dell’Euro) che si è rivelato per quello che è: inconsistente. Non si possono mettere insieme patate e carote, sedano e cicoria, a patto di fare un minestrone. E l’Europa dell’euro oggi è un minestrone. E non certo un minestrone gustoso e aromatico, ma una brodaglia insipida e priva di consistenza, cucinata da cuochi approssimativi. In altre parole, è una entità pseudo-unitaria il cui unico collante è dato da rigidi vincoli di stabilità difficili da rispettare per le specifiche esigenze delle realtà nazionali, che – sappiamo – non sono tutte uguali.
Dunque, gli euroscettici hanno visto giusto. E non posso che concordare con loro. Non perché non sogni davvero una grande nazione europea, ma perché l’Europa così come è oggi non è una nazione europea, ma è un contratto commerciale fra nazioni che hanno stillato una serie di clausole vessatorie per alcuni Stati (tra cui l’Italia), a vantaggio esclusivo di altri Stati (tra i quali Francia e Germania). Ed è chiaro che un siffatto contratto, prima o poi sarebbe stato disatteso dinanzi alle prime difficoltà di adempimento.
Non posso e non voglio addentrarmi nel fenomeno speculativo internazionale, ma è sotto gli occhi di tutti che questo fenomeno ha rivelato la vera consistenza del patto europeo, mettendo a nudo gli egoismi tedeschi e la debolezza economica dei paesi del sud Europa, come l’Italia, la Spagna, il Portogallo e la Grecia (e nel mezzo la Francia, a metà strada tra l’arroganza tedesca e le difficoltà del resto d’Europa). È stato sufficiente proporre l’istituzione degli eurobond e di un ruolo più attivo dell BCE per farci capire che i tedeschi considerano l’euro una loro proprietà che pretendono parametrato alla loro crescita/decrescita economica, infischiandosene del resto d’Europa, fino a giungere all’ipotesi di un’uscita dal circuito là dove le altre nazioni europee non si adeguassero (e subito) alla loro logica economica.
Eccoci dunque qui ad annaspare. L’Italia non ha più sovranità monetaria. Non può decidere strategie idonee a smorzare l’onda speculativa. Non può attivare tutti quei meccanismi necessari per infondere nuova fiducia nei mercati. Può solo pregare che la Merkel cambi idea sugli eurobond e che la Germania da lei guidata finalmente si decida a collaborare con un atteggiamento di parità e non di arrogante superiorità. Insomma, può solo fare un po’ di moral suasion, che però appare davvero poco persuasiva, vista “l’autorevolezza” del nostro esecutivo, guidato da un tecnico non eletto da nessuno che cerca di convincere un politico che rappresenta lo Stato economicamente più potente d’Europa. Non c’è storia e non c’è speranza. In questo frangente, l’Italia può solo pregare che l’Europa germanica le faccia la carità e “ordini” alla BCE di emettere gli eurobond o di acquistare qualche BOT italiano per ridare fiato alla nostra economia.
Siamo davvero messi male. Pendere dal Bundestag tedesco. Chi l’avrebbe mai detto? La Germania avrà pure perso la guerra militare, ma nel lungo periodo l’Europa l’ha conquistata comunque, vincendo la partita economico-monetaria, perché oggi – con questo dannato
bundeseuro – la politica monetaria si decide nei palazzi tedeschi e non certo in quelli italiani. Sono la Merkel e il suo governo che hanno il coltello dalla parte del manico, e hai voglia di avere un italiano alla guida della BCE: è pur sempre un italiano che prende ordini dalla Germania, e non certo da Palazzo Chigi, dove abbiamo un inquilino abusivo.
Che fare dunque? Beh, forse sarebbe il caso di chiudere qui l’esperienza con la moneta unica e tornare alla cara vecchia Lira. Non saremmo certo gli unici. Il ritorno alla moneta nazionale è ormai preso in considerazione da mezza Europa. È indubbiamente un passo indietro, ma ormai è un passo che molti giudicano inevitabile, davanti allo stallo dell’Europa dell’euro, incapace di progettare una politica monetaria unitaria che tenga conto degli interessi di tutte le nazioni europee e non solo dell’interesse germanico.


Fonte: Tocqueville.

domenica 27 novembre 2011

La tracciabilità del moralismo.



Fra le “impressionanti” misure che il governo dei banchieri si accinge a prendere viene ventilata quella di togliere di mezzo il biglietto da 500 euro o, il che fa lo stesso, di mettere una tassa, operata dalle banche per conto dello Stato, sul deposito o sul prelievo di monete di questo taglio. In un pacchetto di sigarette ci stanno 20 mila euro, in una ventiquattr’ore 6 milioni. Si vuole quindi far la lotta agli evasori, ai corruttori, ai riciclatori che si servono di questi tagli. Gli obiettivi sono nobilissimi, le vere ragioni di questo provvedimento un po’ meno.
Negli ultimi mesi molti piccoli risparmiatori, temendo un crollo delle banche, hanno prelevato tutto il possibile dai conti correnti, lasciandovi il minimo indispensabile, per metterlo al sicuro in casa propria. E altri li stanno seguendo. Naturalmente questi prelievi sono avvenuti con banconote da 500, per poterli nascondere agli occhi dei ladri. Adesso, con questa misura, il governo dei banchieri vuole impedire ai risparmiatori che temono un crac degli Istituti di credito di ritirarvi il loro denaro e imporre a quelli che lo hanno già fatto di rimettercelo. Devono rimanere ostaggio delle banche.
Nella stessa direzione va la misura, molto apprezzata dalla sinistra, che vuole rendere “tracciabile” ogni pagamento al di sopra dei 300 euro o addirittura, come pretendono alcuni khomeinisti, a cui ha dato voce Milena Gabanelli, qualsiasi pagamento in contanti. I pagamenti avverrebbero quindi, in gran parte con assegni, carte di credito, bancomat, bonifici, tutte operazioni sulle quali le banche hanno le loro commissioni. Se poi ogni pagamento in contanti, di qualsiasi entità, dovesse essere tassato le banconote sparirebbero dalla circolazione, perché nessuno, nemmeno il giornalaio o il fruttivendolo, le accetterebbe (la “fresca” rimarrebbe, forse, solo al tavolo del poker, l’unico luogo pulito di questo Paese marcio fino al midollo). Saremmo obbligati a tenere tutto il nostro denaro in banca. Ma le banche sono delle società private e lo Stato non può obbligarmi a tenervi il mio denaro. Io il mio denaro ho diritto di metterlo dove mi garba.
Lo Stato nasce, oltre che per amministrare giustizia, per battere moneta. Se non ha fiducia nella propria moneta non è più uno Stato. Se uno Stato non è capace di contrastare l’evasione, la corruzione, il riciclaggio senza far pagare un pesante pedaggio ai cittadini che non sono né evasori, né corruttori, né riciclatori di denaro sporco, non è più uno Stato. Rovesciamolo assieme alle sue classi dirigenti, politiche ed economiche, che ci hanno portato a questo punto e ricominciamo da capo. Infine non è possibile che lo Stato (che non per niente Nietzsche chiama “il più freddo di tutti i mostri”) si intrufoli attraverso la cosiddetta “tracciabilità” nella mia vita privata fino a conoscere, nel dettaglio, i miei acquisti, le mie predilezioni, i miei gusti, i miei vizi. Milena Gabanelli sostiene che “la gente comune non ha necessità di più di una cinquantina di euro alla settimana”. Ma dove vive, in un monastero? Una buona bottiglia di vino e un pacchetto di sigarette fan già 15 euro al giorno. Il moralismo della sinistra è insopportabile. E ora capisco perché tanti, senza per questo essere dei lestofanti, votavano Berlusconi. Perché Berlusconi difendendo la sua libertà criminaloide difendeva anche, per estensione, la libertà di tutti dallo strapotere dello Stato. Aridatece subito il Cainano.

Quella trappola per svendere Finmeccanica.





Le voci su tangenti che sarebbero girate intorno a singoli affari di Finmeccanica non stupiscono: è evidente come un certo rapporto tra corruzione e politica non sia stato superato negli ultimi decenni di Lodovico Festa – 22 novembre 2011, 08:27 Per salvare l’articolo è necessario effettuare il login Commenta Le voci su tangenti che sarebbero girate intorno a singoli affari di Finmeccanica non stupiscono: è evidente come un certo rapporto tra corruzione e politica non sia stato superato negli ultimi decenni. La sede di Finmeccanica La sede di Finmeccanica Ingrandisci immagine E ciò a causa di Mani pulite non nonostante Mani pulite. Le dimensioni patologiche della corruzione non si superano se non dando responsabilità a società e istituzioni, se ci affida politicamente ai magistrati, ai tecnici, se si restringono le basi dello Stato invece di allargarle, la patologia ben lungi dal restringersi si dilata. Lo provano i vari regimi autoritari del Novecento finiti in generali magna- magna.
Per Finmeccanica va osservato anche che non si sta discutendo di un qualche comunello che distribuiva bustarelle, bensì di una delle migliori e più grandi imprese manifatturiere del Paese, ricca di una professionalità invidiata in tutto il mondo, con una produzione superba. E per di più insediata in un settore sottoposto ai giochi geopolitici e quindi necessitata a difendere i suoi mercati con i mezzi opportuni. Le accuse che gli indagatori fanno arrivare alle redazioni mischiano reati che se provati sarebbero gravi (le centinaia di migliaia di euro versati per singoli appalti) a contestazioni risibili: questo o quel parlamentare avrebbe sostenuto questo o quel candidato in un consiglio di amministrazione o in altro incarico di nomina politica. Insomma avrebbero fatto quel che ha combinato Enrico Letta con il suo bigliettino a Mario Monti. Non abbiamo particolare fiducia nella nostra giustizia politicizzata, non ci scordiamo che solo poco tempo fa forse per impedire a Walter Veltroni di dialogare con Silvio Berlusconi venne arrestato Ottaviano Del Turco allora governatore dell’Abruzzo sotto il peso di prove schiaccianti poi evaporate. E siamo molto perplessi che in una fase di indebolimento della nostra sovranità nazionale, una magnifica azienda con funzioni strategiche sia sottoposta senza alcuna cautela ad un assalto selvaggio. Solo qualche mese fa una nostra impresa fondamentale nel settore agro-alimentare preziosa per consolidare la nostra produzione lattearia è stata consegnata da una nostra grande banca- incapace di accompagnarla con un progetto industriale adeguato – ai francesi, fine analoga farà la Edison la cui cessione ai francesi nasce dalla linea di smantellamento da parte della Fiat più politicizzata che tanto piaceva al Corriere della Sera , ora impegnato ad attaccare Sergio Marchionne che punta sulla produzione invece che sulle relazioni. Analoga fine farà l’Alitalia e meno male che si è salvata la Malpensa, se no i milanesi per viaggiare sarebbero dovuti andare a Parigi. La possibilità di una qualche trappola per svendere il nostro gioiello della produzione aeronautica e degli armamenti, è molto forte. Al di là delle indagini penali che è bene procedano ma con riservatezza visti gli interessi nazionali in ballo, è bene stare attenti su quel che avverrà. Anche perché si ha la sensazione che dopo Finmeccanica, toccherà all’Eni.

sabato 26 novembre 2011

Alluvione Messina, gara di solidarietà Giovane Italia.


La solidarietà alle popolazioni del messinese colpite dalla violenta alluvione giunga dal nostro movimento giovanile. Vogliamo dare inizio ad na gara di solidarietà attraverso il numero 45590 istituito dalla Protezione Civile; Inviando un semplice sms si potrà donare 1 euro, chiamando da rete fissa si potranno devolvere 2 euro. Questo il nostro piccolo contributo.
In alternativa il comune di Barcellona Pozzo di Gotto ha istituito un conto corrente di solidarietà per raccogliere fondi. È possibile effettuare un bonifico bancario intestato a: "Comune di Barcellona Pozzo di Gotto" con la causale "contributo di solidarietà per gli alluvionati". Questo il codice Iban dedicato: IT 16 Z 01030 82071 000001 328303"

In questi momenti più che mai,  Fratelli d'Italia.

Ecco chi è davvero Mario Monti …



Mario Monti continua a negare di essere un rappresenante dei Poteri forti; ieri ha sfioraro il ridicolo ricordano come l’Economist lo avesse definito il “Saddam Hussein del business Usa” per essersi opposto a Microsoft e Coca Cola quando era Commissario europeo. Frase ad effetto ma priva di fondamento.
Se fosse stato davvero Saddam Hussein avrebbe fatto un’altra fine, forse non così drammatica come quella del Raîs, ma oggi sarebbe un oscuro ed emarginato professore in pensione. Invece la Coca Cola che lui aveva “perseguitato” lo ha assunto come Consigliere, ma non è questo il punto.
Mario Monti non rappresenta i poteri forti, Mario Monti è parte costituente dei poteri forti. Monti è consigliere di Goldman Sachs (a proposito: ma si è dimesso?), è presidente della Trilaterale (ramo europeo), ha fondato il think tank Breugel di cui è presidente, è membro e assiduo frequentatore del Bilderberg. Naturalmente nelle biografie ufficiali scorda sistematicamente di ricordare la sua affiliazione alla Trilaterale e al Bilderberg. Perchè?
Altro che tecnico sobrio e neutrale, Monti è un uomo molto ambizioso che recepisce gli interessi di queste organizzazioni, le quali hanno forti interessi finanziari (Golmdan) o perseguono disegni non dichiarati e inquietanti. Su questi punti andrebbe incalzato dalla stampa e dal Parlamento; ma naturalmente questo non accade, se non marginalmente e con scarsa cognizione di causa da parte dei giornalisti.
Così Monti può perseguire i propri interessi, facendo leva sul sostegno dei compagni di cordata italiani .Ad esempio: oggi fa scandalo il bigliettino di Enrico Letta, nessuno scrive che Enrico Letta è un membro della Trilaterale, affiliazione che naturalmente il deputato Pd, come Monti, non rivendica nelle biografie ufficiali. Sapendo questo retroscena il suo gesto apparentemente ingenuo assume un altro significato
Perchè questa discrezione nei dirsi membri di Trilaterale e Bilderberg? Perchè questi misteri? Cosa aspetta l’opinione pubblica ad aprire gli occhi sul signor Monti e su Enrico Letta e su Mario Draghi e tanti altri venerati tecnici o addirittura padri della patria?


... Monti è anche membro Senior Advisory Council di Moody’s ovvero della principale agenzia di rating al mondo…

di Marcello Foa

martedì 22 novembre 2011

CREDO NELLE IDEE CHE DIVENTANO AZIONI.

"E’ bello svegliarsi la mattina e scoprire che esiste ancora chi ha il coraggio di alzarsi in un plenum di tecnocrati-sudditi e sbeffeggiare clamorosamente la casta"




di Andrea Lorusso

Nigel Paul Farage "Nigel Paul Farage (Farnborough, 3 aprile 1964) è un politico britannico, leader dell'UKIP. Deputato europeo, è co-presidente con Francesco Speroni del gruppo Europa della Libertà e della Democrazia dal 1 luglio 2009. La posizione all'interno del parlamento europeo di Nigel Paul Farage può essere letta in chiave anti-europeista, le sue battaglie sono in difesa delle sovranità nazionali. Noti i suoi interventi contro il presidente Herman Van Rompuy ritenuto anche dal deputato Borghezio (Lega Nord) espressione del Gruppo Bilderberg, contro Barroso e contro le modalità attuative del Trattato di Lisbona che non hanno visto coinvolti direttamente i popoli europei". (Wikipedia)


C’è stato un uomo che ha avuto il coraggio di dirlo, e dirlo ad alta voce dinanzi a tutti quegli uomini correi di aver causato la crisi monetaria, finanziaria e speculativa che oggi viviamo. 

Qui il video



Nigel Farage ha preso la parola a Bruxelles e ha attaccato senza remore i responsabili del disatro che oggi i cittadini degli Stati Europei stanno pagando di tasca loro, senza avere nemmeno realmente capito per chi o per cosa stanno pagando, certamente per colpe non loro. Sornione, Schulz se la rideva mentre Farage attaccava la sua Germania e il modo con cui l’Italia e Berlusconi sono stati sbeffeggiati e commissariati con un metodo che tutto ha tranne che i tratti somatici di una democrazia. Ve lo ricorderete quest’uomo, vero? E’ colui che attaccò ferocemente, anni orsono, il nostro ex Presidente del Consiglio nel suo precedente governo.

Diamo luce a questo episodio accaduto qualche giorno fa, per provare a riaccendere un barlume di speranza che, ahimè, in molti tengono spento già da troppo tempo. Se c’è ancora non solo chi lotta ma addirittura chi ha il coraggio di erodere dall’interno un sistema ormai consolidato, rischiando di essere fucilato dai propri pari, vuol dire che vale ancora la pena di credere e di non spegnere quella fiamma che arde nel cuore di ogni militante fedele alla propria Nazione, che non smette di sognare di potere in qualche modo contribuire a cambiare le cose.

Certo è che non ci si alza la mattina e non si pretende di entrare in Parlamento e cambiar tutto con la bacchetta magica. Ma se crescesse la coscienza nei cittadini ed iniziassimo tutti dal nostro vicino di casa a ribadire alcuni concetti, tanto semplici quanto spesso dimenticati che sono alla base di una democrazia occidentale e progredita come si vuol intendere la nostra, recupereremmo certo la dignità di Stato Sovrano.

L’Italia ha tutte le carte in regola per essere una primissima economia ed una primissima “donna” al pari di Francia e Germania. Abbiamo le migliori menti, la storia, la cultura, il lusso, il tessile. Abbiamo grandi società, aziende, risorse sul territorio straordinarie che se solo venissero sfruttate ci lancerebbero di diritto nella costellazione dei migliori. Quello che ci manca è l’orgoglio. La consapevolezza delle nostre capacità, della nostra forza, della nostra dignità di Nazione.
In un Paese tanto bello quanto incapace di funzionare come l’Italia, dove si parla ancora di Nord e Sud da dividere, si sottovaluta l’enorme potenziale che abbiamo in grembo. E’ giunto il momento che arrivi una spinta dal basso, dalla società civile stanca di subire indifferente gli schiaffi dell’Europa, e che questa arrivi ai nostri Rappresentanti supini ed inermi. Pound diceva: “Credo nelle idee che diventano azioni”. Proviamo ad imitarlo.

domenica 20 novembre 2011

L'Europarlamentare inglese NIGEL FARAGE Accusa L'UE di Golpe alla Sovranità delle Nazioni e di mancanza di Democrazia.



Il discorso dell'inglese Nigel Farage al parlamento europeo: PARLA D'ITALIA, DI MARIO MONTI... DELLA DEMOCRAZIA IN EUROPA... ACCUSE GRAVISSIME.
HA DETTO CIO' CHE MOLTI ITALIANI, VORREBBERO SENTIR DIRE AI POLITICI CHE HANNO ELETTO... che avrebbero dovuto rappresentarli...
ASCOLTATE LE SUE PAROLE! 
Cosa ha il coraggio di dire sul muso ai burocrati dell'Unione Europea... Eletto in Inghilterra, parla di democrazia in Europa e in Italia.
Le TV lo hanno censurato... MA FORSE SONO TROPPO IMPEGNATI NELL' "OPERAZIONE SIMPATIA" per esaltare Monti ...
Per 2 minuti CI HAI FATTO SENTIRE TUTTI RAPPRESENTATI...


Ascoltate!




ELEZIONI SUBITO!

sabato 19 novembre 2011

DOSSIER Goldman Sachs: tutto sulla "superbanca" da 1 trilione di dollari.



L'anonimo edificio color ruggine al numero 85 di Broad Street, nella parte bassa di Manhattan, non sembra un posto che valga la pena di fermarsi a guardare, ed è proprio quello che piace a coloro che ci lavorano. Gli uomini e le donne che in un piovoso mattino vi sbarcano nella tipica tenuta di Wall Street - abiti scuri, ventiquattrore e BlackBerrys – sono molto riservati. Vanno rapidamente dalle Lincoln nere all'edifico attraversando praticamente il nulla: nessuna targa sulla facciata o indicazione nel vestibolo, nulla che permetta di collegare il sorvegliante armato all'esterno con l'attività svolta all'interno. C'è un buon motivo per tutta questa segretezza: il numero 85 di Broad Street, New York, NY 10004, è dove ci sono i soldi, tutti i soldi.
È il miglior posto per produrre denaro che il capitalismo globale sia mai riuscito a immaginare e, dicono molti, è una forza politica più potente di qualsiasi governo. La gente che lavora oltre le porte vetrate fa più soldi di molti stati. I beni ammontano complessivamente a 1 trilione di dollari, le entrate annuali sono dell'ordine di decine di miliardi, i profitti, vari miliardi, vengono generosamente ridistribuiti all'interno.
In quest'anno di crisi lo stipendio medio di ciascuno dei 30.000 dipendenti dovrebbe raggiungere la cifra record di 700.000 dollari, con picchi di varie decine di milioni (centinaia di migliaia di volte più di un inserviente della stessa impresa). E quando avranno finito di diventare "schifosamente ricchi a 40 anni", i funzionari non si ritroverebbero in brache di tela nemmeno se l'attività dovesse andare a carte quarantotto; verrebbero paracadutati in uno dei prestigiosi posti politici negli USA o all'estero, facendo nascere il sospetto che "governino il mondo". Il numero 85 di Broad Street è la sede della Goldman Sachs.
La più famosa banca d'investimenti si nasconde dietro la piena di denaro che genera e fa piombare su Manhattan, sulla City di Londra su e buona parte delle altre capitali finanziarie in tutto il mondo. Ma adesso i maghi occulti dell'impero bancario sono obbligati a esporsi alla fredda luce del giorno. Pubblico, politici e stampa ritengono che la crisi creditizia sia la conseguenza delle spericolate attività di trading delle banche e in primo luogo della Goldman, quella di più successo tra le sopravvissute. Politici e commentatori fanno a gara per denunciare la Goldman con termini sempre più pesanti: "ladri tra i ladri", "vandali economici", "capitalisti di rapina". Vince Cable, portavoce del Lib Dem Treasury, confronta i recenti eccezionali risultati della banca (un profitto di 3,2 miliardi di dollari solo nel quarto trimestre) e i previsti bonus con la situazione lavorativa e le entrate della gente comune nel 2009.
Negli USA la situazione è ancora peggiore. La rivista Rolling Stone ha pubblicato un articolo che descrive la Goldman come "un'enorme sanguisuga che succhia incessantemente sangue se solo sente odore di soldi". Nel suo ultimo documentario (Capitalism: A Love Story), Michael Moore si presenta al numero 85 di Broad Street con un furgone portavalori, tira fuori un sacco contrassegnato da un enorme dollaro, si volge verso l'edificio e urla: "Siamo qui per riprenderci i soldi dei cittadini americani!".
Di colpo la reputazione della Goldman è diventata ancora più tossica degli swap e degli altri incomprensibili strumenti finanziari, e questo danneggia gravemente qualcosa che la banca considera al di sopra di tutto: gli affari. La Goldman, principale obiettivo della rabbia popolare e dei politici, e potenziale prima vittima di nuove regole draconiane, ha quindi deciso a malincuore che è arrivato il momento di parlare e combattere. Ed ecco perché, in una luminosa mattinata autunnale in cui tutto sembra possibile – anche un invito a pranzo con i padroni dell'universo – mi sono ritrovato a passare dinanzi alla guardia che aveva bloccato Michael Moore e ad entrare nell'edificio senza nome.

Golpe Democratico.

di Nando Dicè



Un Golpe, un vero Colpo di Stato, contro lo Stato, ma non contro uno Stato di questo o di quello, contro il concetto stesso di Stato.
Lo Stato visto dai golpisti, come ultima linea di difesa dei diritti dei popoli , dei diritti dei cittadini. Quello Stato che pur minato dall’interno dall’ideologia dello Stato-Nazione giacobino, continuava ad essere una forma di organizzazione, una forma larvata di comunità, l’ultima forma di potere imprevedibile, che dopo aver soggiogato, il potere economico e quello militare, doveva essere ampiamente ridimensionato.
Nel giro di pochi mesi tutto il Mediterraneo e stato ri-soggiogato, hanno condotto una vera guerra, una vera guerra totale. Hanno dato una prova di forza alla Cina ed agli altri. In pochi mesi, Marocco, Algeria, Egitto, Libia, Grecia, Spagna, Italia, Siria…. Hanno travolto tutti, amici e nemici, democratici o dittatori, economie di mercato ed economie pianificate, paesi industriali e paesi rurali, c’era troppa differenza nel mediterraneo, egalitè la loro parola d’ordine, ed uguaglianza fu, logicamente uguagliando tutti al ribasso, verso la categoria degli schiavi, senza diritti ed in balia dei banchieri. Questo è il loro concetto di uguaglianza universale.
Per realizzarlo? Dalle bombe ai fazzoletti arancioni, passando per i blogger simpatici e moderni, tutto va bene.
Golpe popolare, Golpe militare, Golpe arancione, Golpe parlamentare… tutti i tipi di golpe utilizzati, piegati alla volontà dell’Unico potere.
E per tutti, il Golpe Finanziario a spianare la strada, in tutti i paesi la stessa storia. In tutti i paesi c’è un Garibaldi o un Di Pietro, in tutti i paesi c’è un Travaglio e un Berlusconi ed in tutti i paesi c’è il “popolo della rete” nuova categoria sociale che preme , preme e preme, ed alla fine vuole sempre quello che dicono i padroni, libertà , democrazia e partecipazione. Cosa si ottiene? Beh guardatevi intorno e decidete da soli.
Valga da solo, che in tutti i paesi “normalizzati” la “guerra per la libertà” finisce con la nomina di un banchiere a capo di tutto, e non con la nascita della democrazia ovunque.
Puoi anche essere democratico, ma se non ti fai comandare dalle banche, sei una democrazia a “rischio”.
A tutti, tutti vogliono dare aiuto, basta che chi li chieda decida di pagarseli da soli in cambio di un rene o di un polmone.
Ed a farti chiedere aiuto, in tutti i paesi c’è un Bersani di turno che preme e freme per la democrazia e la libertà.
A tutti impongono la supervisione dei “conti”, ma nessuno si preoccupa di una supervisione della sanità o della disoccupazione. Cosa ci vorrebbe a ribaltare la cosa? Fuori dall’euro, tutti quegli stati che non garantiscano la piena occupazione. Fuori dall’Europa, tutti quegli Stati che non estirpano la Criminalità organizzata. Fuori dal WTO, quegli Stati che non reprimono le frodi alimentari e che non rendono accessibili i medicinali a tutti. Avete mai sentito queste frasi? Avete mai sentito l’Europa chiedere allo Stato Italiano: “se non fermi l’emigrazione interna fra nord e sud che continua da 150 anni, noi ti alziamo lo spread”?
Ma allora a chi serve ‘st’Europa, ‘sto Fmi, questa BCE? A chi?
Bene, se avete una risposta, avete capito anche chi sta attuando il Golpe, avete capito che non hanno iniziato ieri, avete capito che sono fanatici, e che voi, voi popoli tutti, ai loro occhi siete un ostacolo al dominio dell’individuo, astratto, apolide e consumista che vogliono creare. La chiamano Pace, ma è la peggiore guerra, la chiamano uguaglianza, ma è la peggior schiavitù, la chiamano democrazia ma è una dittatura bancaria, li chiamano diritti ma sono solo favole inaccessibili, le chiamano tasse ma sono rapine, lo chiamano Debito Sovrano, ma in realtà è una truffa. E tutto questo, nell’insieme, la chiamano LIBERTÀ. Ma jate a fanculo!.

venerdì 18 novembre 2011

Un Uomo Macchina per guidare il Paese.

di Marcello Veneziani. 


Oggi c’è il sole. È stata la battuta più audace di Mario Monti in questi giorni. E tutti a scorgere allusioni cifrate, messaggi elioterapici, metafore ottimiste. L’Uomo Grigio che sognammo in un cucù dopo il colorito Berlusconi si è avverato.
È lui, Mari-o-Monti. Il Tecnico. Come vivono i Tecnici, le macchine da governo, di che si nutrono, come si riproducono? Per cominciare, Monti si accende solo se schiacci «on», che non è l’onorevole pestato, ma il tasto apposito. Quando finisce premere «off». Monti è ancora imballato nella placenta di plastica. Ha le mutande di polistirolo e i capelli in vetroresina, come si può notare. Sul teleschermo è mobile ma non si sa chi detiene il mouse che lo muove.
Napolitano è entusiasta di lui perché durante le consultazioni gli ha aggiustato un transistor del ’63, e non si è preso niente. Dicono che Monti abbia un cane golden retriever; il cane del Tecnico in realtà è un elettrodomestico, è il «bimby», un robot. Hanno confuso il cane col padrone, la Goldman Sachs.
Monti prende tre stipendi ma restituisce automaticamente il resto. Monti non mangia, ha l’alimentatore. Monti è ironico se gli installano il programma apposito. Quando fa sesso, a Monti sale l’indice mibtel e schizza lo spread. Si eccita col touchscreen, gli si accende la chiavetta. È stata captata una sua confidenza erotica: ti ricordi, cara, quando lo facemmo due volte di seguito, nel 2001 e nel 2002? Monti è wireless, non ha cavo e non ha presa. Teniamocelo caro, il Tecnico. Come disse Candide, questo è il migliore dei Monti possibili.

giovedì 17 novembre 2011

Storia di Emanuele, dimenticato perché dalla parte sbagliata.



Nessuno se lo ricorda più, e infatti il 5 novembre 2011 è passato senza che sui mass media sia apparso neppure un trafiletto su quel lontano episodio di cronaca nera. Eppure il “fattaccio” accadde. Accadde tanti anni fa, precisamente 38, in una tranquilla città della cosiddetta Padania. Un po’ come nella canzone di De Andrè Delitto di paese: «Non tutti nella capitale / sbocciano i fiori del male / qualche assassinio senza pretese / lo abbiamo anche noi in paese…». Sì, anche la provinciale Pavia ha avuto il suo fiore del male, il suo assassinio “senza pretese”. Senza pretese perché fino ad oggi per Emanuele Zilli giustizia non è ancora stata fatta. Nessuno ha neppure tentato di dare un nome e un cognome al suo boia.
Emanuele aveva 25 anni ed era un coraggioso operaio attivista del Msi, di cui era stato anche candidato alle elezioni comunali. Anzi, fu proprio in seguito a quella scelta che la situazione, fattasi per lui già da tempo delicata, iniziò a precipitare. Certo, Emanuele non era proprio tipo da starsene tranquillo per non dispiacere ai poteri forti. Quando c’era da darsi da fare stava sempre in prima linea, e quelli erano tempi assai duri per chi aveva il fegato di professarsi anticomunista. Ma dopo quella dannata candidatura nella lista di Almirante nulla fu più come prima per lui e la sua famiglia. Telefonate, pedinamenti, lettere minacciose, e poi la scritta inquietante apparsa sul muro sotto casa: «Zilli, sei il primo della lista». Un giorno un collega di lavoro iscritto al Pci arrivò a sputargli in faccia davanti a tutti: «Carogna, morto di fame, fascista! Perché non reagisci, vigliacco? Dovresti essere licenziato». Fino a quel momento, però, tutto si era risolto con insulti e minacce, e lui non dava molto peso alla cosa, anche per non impensierire la moglie.
Ma passare dalle parole ai fatti fu questione di qualche settimana. Emanuele infatti venne aggredito una prima volta, nel 1972, in piazza Castello, mentre si trovava in compagnia di un amico. Qualche mese dopo stava per fare la stessa fine insieme ad altri due amici, uno dei quali, però, rispose per le rime sparando un colpo di pistola all’indirizzo degli aggressori. Un giorno, il 5 dicembre sempre del 1972, si imbatté in un gruppo di ultracomunisti, che appena lo intravidero iniziarono a inseguirlo gridando: «È lui, Zilli!». Lo afferrarono, lo spintonarono, lo picchiarono e gli attaccarono un cartello al collo. Quindi lo trascinarono per i capelli portandolo come un macabro trofeo a spasso per piazza della Vittoria finché il giovane perse conoscenza e si risvegliò in un letto d’ospedale. Malgrado fosse in gravi condizioni il ragazzo, ancora sofferente, fu dimesso quasi subito per consentire alla polizia di arrestarlo in tutta comodità per l’episodio precedente. Due medici del Policlinico furono anche denunciati per l’eccessivo zelo col quale firmarono le sue dimissioni. Emanuele naturalmente, dopo le infamanti accuse, le botte e il carcere patito, risultò innocente, ma ormai il suo destino era irrimediabilmente segnato.
Emanuele Zilli era un umile operaio che, per mantenere la sua famiglia, moglie e due bambine che al momento della sua fine avevano uno e due anni, era impiegato presso una nota ditta di Pavia. E fu proprio al termine della sua giornata di lavoro che trovò la morte ad attenderlo. Il quotidiano La Provincia Pavese in proposito scrisse: «Sembra che venerdì sera egli fosse uscito dal lavoro e, verso le 18 e 30, stesse facendo ritorno a casa in sella al proprio motorino percorrendo una traversa di via dei Mille. Qui è stato rinvenuto, poco dopo le 18 e 30, esanime a terra accanto al proprio motorino. Il corpo dello Zilli giaceva sulla sinistra della carreggiata. Prontamente soccorso, il giovane veniva trasportato al Policlinico. In un primo tempo si faceva l’ipotesi più ovvia, quella dell’incidente stradale: lo Zilli sarebbe sbandato sulla propria sinistra, andando a sbattere contro un’auto o finendo a terra per un malore. Ma alcune circostanze inducono ad una maggiore cautela: lo Zilli infatti aveva un occhio pesto, come se fosse stato picchiato; sul collo presentava un profondo graffio e il suo corpo era stato trovato in una posizione “strana” rispetto al motorino. Il luogo era completamente deserto – aggiungeva il quotidiano – e non c’erano macchine intorno contro cui Zilli potesse aver urtato cadendo. Né segni di un incidente stradale». Tre giorni durò l’agonia del povero ragazzo, che si spense senza mai riprendere conoscenza all’alba del 5 novembre 1973. Se si fosse trattato di un intoccabile della sinistra, istituzionale e non, si sarebbe scatenata la caccia all’uomo, con i media mobilitati per denunciare «il gravissimo episodio d’intimidazione ecc. ecc.»; le forze dell’ordine avrebbero setacciato la città in cerca dei responsabili e poi come minimo si sarebbe intitolata una piazza o una strada all’eroe “vittima dei fascisti”. Ma Emanuele ebbe l’imperdonabile torto di cadere dalla parte sbagliata della barricata. Pertanto, non solo non si sono cercati testimoni dell’accaduto, ma gli investigatori non si sono neppure preoccupati di verificare con la dovuta accuratezza l’alibi dei più feroci estremisti di sinistra del luogo. Vale a dire dei vigliacchi che pure gliel’avevano giurata con tanto di vernice spray sul muro del palazzo.
In conclusione, sulla tragica fine dell’operaio pavese non è mai stata fatta luce. La tranquilla, sorniona, ricca Pavia ha preferito finire col rimuovere del tutto l’episodio, facendo finta di credere alla ridicola tesi dell’incidente. Pertanto, dopo 38 anni della triste vicenda, di Emanuele sono rimasti solo il comunicato del Msi che chiedeva invano giustizia, il pianto inconsolabile della moglie ventunenne; e quello di due bambine che non hanno mai conosciuto il padre. E – accanto al vuoto rimasto nel cuore di chi gli fu amico – l’amara presa d’atto che la Giustizia in Italia iniziò a morire proprio in quei cupi e lontani giorni di novembre del 1973.

Emanuele Zilli

PRESENTE

Diritto al voto, ma che inutile scocciatura...

di Marcello De Angelis.



Ci sono voluti sessant’anni, ma gli italiani hanno capito che la democrazia non fa per loro. E pensare che c’è voluta una guerra e milioni di morti per “regalarcela”. Che poi tutto si riassume semplicemente in un unico diritto, che è quello di voto, che si basa sull’idea – da molti ritenuta fantasiosa – che ogni individuo abbia la capacità di formarsi un’opinione ed esprimerla. Gli italiani – dopo meno di un secolo di suffragio universale – sono tornati a una visione semplice e tradizionale. Esiste un’entità metafisica invisibile e onnipotente (prima Dio, oggi il Mercato) che ti favorisce o ti punisce se tu c’azzecchi o sbagli. Un capo legittimo è colui che interpreta il suo volere o – addirittura – è direttamente indicato da lui. Egli si contorna di un’aristocrazia dove i titoli contano più della persona. Uno è professore, o esperto, generale, marchese. Tengono lontane le carestie, intercedono con Dio per avere piogge nella stagione giusta e ricchi raccolti. Così non vivremo più nella paura della punizione divina. Inutile soffrire di invidia per gli altri popoli che sembrano a volte decidere per noi. D’altronde ci hanno sempre considerato dei camerieri o dei pizzaioli, degli sciuscià o dei mafiosi. Da sempre chi vuole darsi arie parla francese o studia in Inghilterra. Torniamo alle nostre attività di sempre. Spendiamo in schedine e lotterie più di una intera finanziaria, evadiamo le tasse con moderazione (siamo sempre il Paese dei furbi e poi lo fanno tutti), parliamo alle spalle e di fronte diciamo “sissignore”. Sperando che un giorno quel Signore inciampi, così gli tiriamo qualche calcio quando è a terra…. La politica è una cosa sporca… tutti i giornali dicono che… gli americani so’ forti… avanti dotto’… indietro dotto’… Me la dà una mancetta?

mercoledì 16 novembre 2011

Giovane Italia Crotone: il centrosinistra maschera il fallimento amministrativo.


"Che il centrosinistra nostrano sia in piena confusione è noto a tutti, basta vedere come non amministrano il Comune di Crotone. Ma che addirittura nella stessa conferenza stampa due importanti personaggi del Pd si contraddicano a vicenda ci sembra la fiera dell’assurdo. La settimana scorsa, il buon Ciccio Sulla ha tenuto una conferenza stampa, con tanto di lavagna, per spiegare ai crotonesi che i soldi delle Royalties non arriveranno a Crotone, e che invece lui e la giunta Loiero avevano preparato un programma che avrebbe portato sul nostro territorio una pioggia di finanziamenti, onestamente come non ne abbiamo mai visti nella passata legislatura della Regione. Sulla ha spiegato che le royalties ammontano a circa 6,5 milioni di euro all’anno. Vallone lamenta che dal 2006 a Crotone non arrivano questi fondi. Per cui se la matematica non è un’opinione a Crotone la Regione deve 6,5 milioni di euro per 5 anni (dal 2007 al 2011) che fanno circa 32 milioni di euro, circa la metà di quelli annunciati da Sulla. Ma lo stesso Sulla, nella stessa conferenza stampa, ha annunciato, che nonostante l’astruso strumento legislativo, creato da lui stesso quand’era assessore, strumento che doveva portare a Crotone circa 130 milioni di euro, grazie alla Bei e ai Por, nonostante questo ben 22 milioni erano già stati dati ai comuni crotonesi. Ora domanda: se Sulla dice che comunque 22 milioni sono stati stanziati, e Vallone dichiara di non aver ricevuto neppure un euro.. chi mente tra i due? A noi non interessa difendere la Stasi o Scopelliti, se lavoreranno bene, alla fine del mandato il popolo li premierà, se invece faranno male, sempre il popolo li manderà a casa, così come ha già fatto con il fallimentare Loiero e la sua cricca. Ma una cosa ci sta a cuore: Crotone. E Crotone ha bisogno dei fondi legati alle Royalties, per cui vorremmo capire che fine hanno fatto le cifre già stanziate, quali sono i progetti di sviluppo legati a questi fondi, e soprattutto qual è il progetto di sviluppo che la giunta Vallone ed il Pd ha per questo nostro territorio. Non ci sembra di chiedere troppo, ma visto che Vallone per tutta la campagna elettorale si è sottratto alla domanda su cosa è stato fatto dalla sua amministrazione ma soprattutto su cosa vorrà fare in questi cinque anni, ci sembra giunto il momento che il caro Sindaco smetta il suo silenzio e cominci a dare risposte. Siamo stanchi di questa campagna elettorale che Vallone ha cominciato per candidarsi alla Camera. Ha già tentato una volta di sfuggire da questa città (alle scorse regionali) ed i crotonesi l’hanno già bocciato, non vorremmo che stesse cercando un’altra via di fuga, che lo porti lontano dalle sue responsabilità e soprattutto dal suo fallimento amministrativo."

martedì 15 novembre 2011

PER GIORGIA MELONI E’ MANCATA LA REAZIONE.



«Il nostro errore è stato quello di non reagire. Avrei preferito che il governo fosse costretto a un passo indietro non per la Carlucci e Antonione, ma su un tema di grande politica, magari su una storica riforma delle pensioni». A dirlo, in un’intervista al Corriere della Sera, il ministro uscente della Gioventù, Giorgia Meloni, secondo cui «ci sarebbe voluto il Berlusconi del colpo geniale, coraggioso, impensabile, come quando portò il G8 e tutti i potenti della Terra sulle macerie dell’Aquila». A non aver funzionato, afferma Meloni, «è la maggioranza, sono i numeri. Per fare le riforme, a Montecitorio servono numeri solidi, e quelli ad un certo punto, purtroppo, non li abbiamo più avuti». Meloni ribadisce che avrebbe preferito le elezioni anticipate. «La sovranità appartiene al popolo, e per questo avrei chiesto agli italiani cosa fare. Non ho niente contro Monti, ma penso che la politica non avrebbe dovuto mettersi in fila dietro un gruppo di banchieri scelti dal mercato». «Temo che l’Italia paghi quella che sembra essere la strategia delle grandi lobby finanziarie mondiali, e cioè indirizzare le scelte di tutti i governi europei», prosegue Meloni. «E la politica italiana, ecco il nostro vero guaio, non ha avuto lo scatto d’orgoglio necessario per sottrarsi a questa pressione».

lunedì 14 novembre 2011

“Se il golpe è dei banchieri, lo chiamano governo tecnico”.


Ignazio La Russa
“Se lo fanno le forze armate è un golpe, se lo fanno i banchieri lo chiamano governo tecnico”. E’ un Ignazio La Russa in grande forma quello che commenta l’intricata situazione politica di questi giorni.
Combattivo e vivace come sempre, per nulla rassegnato e arrendevole nonostante la caduta del governo, l’ormai ex ministro della Difesa traccia un bilancio della crisi di governo usando la consueta ironia.

La Russa, da dove partire per commentare l’imminente avvento del governo tecnico di Monti?
Da ieri sera. Anche se la giornata non era da ridere, ieri sera a me è venuto da ridere. Ho visto una sinistra intenta a festeggiare in maniera sguaiata, ma di cosa erano contenti quelli che sono scesi per strada? Non hanno vinto nulla. Certo non hanno vinto le elezioni, ma non c’è stata neppure una vittoria politica delle forze di opposizione. Semplicemente, diventa presidente del Consiglio Mario Monti, ossia colui che è il nemico della sinistra, in quanto rappresenta le banche, la finanza, il capitale, i mercati, i poteri forti, i padroni. Tutti gli stereotipi che la sinistra voleva combattere. O meglio, diceva di voler combattere. E poi mi veniva in mente una battuta…

Quale battuta? La dica anche a noi.
Beh, non facevo altro che pensare “Se lo fanno i militari lo chiamano golpe; se la stessa cosa la fanno i banchieri la chiamano governo tecnico”. E’ solo una battuta ovviamente, ma un fondo di verità c’è. Poi però ho smesso di ridere.

Pensando ancora ai festeggiamenti?
Ho pensato che neanche se avessero vinto loro le elezioni avrebbero dovuto festeggiare in quel modo. In questi anni a noi è capitato di vincere, ed anche di festeggiare per le strade. Ma festeggiavamo una nostra vittoria, e l’abbiamo sempre fatto in maniera educata.
A noi di destra non sarebbe mai venuto in mente di fare quello che hanno fatto loro. Non saremmo mai andati sotto casa di Prodi, D’Alema, Veltroni, Bersani o Rosy Bindi, a disturbare, insultare e urlare il nostro odio. Che significato ha festeggiare sotto casa? Questa è una delle tante differenze che c’è tra noi e loro.
Se mai ci fosse bisogno di una conferma, è stata un’ulteriore dimostrazione che il popolo della sinistra ama festeggiare solo le sconfitte altrui, mai le proprie vittorie. Anche perché non hanno vinto proprio nulla. Anzi.

Fonte: QELSI