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mercoledì 14 dicembre 2011

Catastrofe in Occidente? Impariamo dagli indigeni delle Isole Andamane...

di Massimo Fini


Questa settimana voglio raccontare degli indigeni delle Isole Andamane. Che c’importa di costoro, dirà il lettore, nel momento in cui l’Occidente attraversa una crisi che potrebbe farlo crollare da un momento all’altro? Ci può interessare come utile confronto con una comunità che ha preso una strada opposta alla nostra.

Le Andamane sono divise in due parti. Una turisticizzata, «civilizzata», con tutto ciò che ne consegue. In altre, poche, isole vivono indigeni che non hanno mai voluto integrarsi, scientemente, nel modello egemone. Appartengono alla categoria, ormai in via di estinzione, di quei popoli che noi chiamiamo presuntuosamente «primitivi» e i tedeschi, più correttamente "naturvolker" (popoli della Natura). Questi andamanensi non sono affatto scorbutici, semplicemente non vogliono che qualche rompiscatole arrivi con la pretesa di cambiare i loro equilibri millenari. I pochi che sono riusciti ad avvicinarli li descrivono «sereni, allegri, socievoli, miti» e, poiché le loro donne hanno natiche belle e protuberanti, con una certa predilezione per gli scherzi osceni, che a me è sempre sembrato un segno di buona salute.

Durante lo tsunami del 2004 le Isole Andamane erano, dopo Sumatra, le più vicine all’epicentro del maremoto. In quelle «civilizzate» c’è stata la consueta strage, le altre non hanno avuto né un morto né un ferito. Quando un elicottero dell’esercito indiano (formalmente dipendono da New Dehli) sorvolò le loro isole per vedere cos’era successo trovò gli indigeni seduti in cerchio sulla spiaggia che suonavano e cantavano. Per buona misura l’elicottero fu preso a frecciate perché si togliesse di torno. Il fatto è che gli andamanensi conoscono il mare, lo sanno guardare ancora con occhi umani, ascoltare con orecchie umane, sentire con cuore umano e non hanno bisogno di sofisticate apparecchiature per capirlo e per capire la natura. Hanno conservato quegli istinti che noi, completamente in balia della tecnologia, abbiamo perduto. Hanno compreso che qualcosa non andava quattro o cinque ore prima che il mare, che appariva tranquillissimo, si ritirasse. Si era fatto un improvviso, impressionante, silenzio. Gli uccelli avevano smesso di cinguettare, le antilopi avevano drizzato le orecchie e dopo un attimo tutti gli animali correvano verso le colline. Probabilmente quel silenzio si era creato anche sulle altre coste colpite dallo tsunami ma c’era troppo fracasso perché chi vi si trovava in quel momento potesse sentirlo. E anche quando il mare cominciò a ritirarsi nessuno tra i bagnanti, completamente instupiditi, e non solo gli occidentali ma nemmeno gli indigeni, a tal punto li abbiamo ibridati, capì che se il mare si ritrae, e non per un fenomeno conosciuto, c’è da aspettarsi una formidabile onda di ritorno. Rimasero tutti inebetiti a guardare i granchi e gli altri animaletti che l’acqua che rifluiva aveva scoperto.

Gli andamanensi hanno anche un’altra caratteristica singolare. Secondo Mircea Eliade (rumeno), il più grande studioso delle religioni, sono l’unico popolo al mondo che non ha né un dio né un culto. Per la verità in tempi remotissimi un dio ce l’avevano, si chiamava Peluga. Ma si accorsero ben presto che non si occupava affatto di loro e finirono per dimenticarselo. Ciò non gli ha impedito di vivere sereni per millenni come tutt’ora vivono mentre il resto del mondo trema (a loro dello spread, del futsi mib, del downgrading non può fregar di meno). E quando il mondo dell’industria e del denaro crollerà, implodendo su se stesso, saranno probabilmente fra i pochissimi a salvarsi. Anche questo dovrebbe indurci a qualche riflessione.

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