Salviamo i nostri Marò

Salviamo i nostri Marò
I nostri due militari devono tornare a casa

Siamo contro ogni genere di Discarica nel nostro Territorio!

lunedì 24 dicembre 2012

Simbologia. Significati e mistica delle cerimonie e delle usanze del Natale.


Le feste natalizie sono costellate di cerimonie ed usanze di cui non tutti conoscono il significato profondo, l’origine e l’evoluzione. Alcune di esse derivano da tradizioni pagane cristianizzate. Questa commistione di usanze di ispirazione evangelica con altre precristiane è dovuta alla collocazione calendariale del Natale che, diversamente dalla Pasqua, è errata storicamente. Nel vangelo di Luca si narra soltanto che nel periodo in cui nacque Gesù c’erano a Betlemme dei pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al gregge. Siccome sappiamo che i pastori ebrei partivano per i pascoli all’inizio della primavera, in occasione della loro Pasqua, e tornavano in autunno, è evidente che il Cristo nacque tra la fine di marzo e il primo autunno; tant’è vero che fino alla fine del III secolo il Natale veniva festeggiato, secondo i luoghi, in date differenti: il 28 marzo, il 18 aprile o il 29 maggio.
Nella seconda metà del secolo III si affermò nella Roma pagana il culto del sole, di cui l’astro non era se non una manifestazione sensibile. In suo onore l’imperatore Aureliano aveva istituito una festa al 25 dicembre, il Natalis Solis Invicti, il Natale del Sole Invitto, durante il quale si celebrava il nuovo sole “rinato” dopo il solstizio invernale. Molti cristiani erano attirati da quelle cerimonie spettacolari; sicché la Chiesa romana, preoccupata per la nuova religione che poteva ostacolare la diffusione del cristianesimo più delle persecuzioni, pensò bene di celebrare nello stesso giorno il Natale di Cristo. La festa, già documentata a Roma nei primi decenni del IV secolo, si estese a poco a poco al resto della cristianità.
La coincidenza con il solstizio d’inverno fece sì che molte usanze solstiziali, non incompatibili con il cristianesimo, venissero recepite nella tradizione popolare. D’altronde non si trattava di una sovrapposizione infondata, perché fin dall’Antico Testamento Gesù era preannunciato dai profeti come Luce e Sole. Malachia lo chiamava addirittura “Sole di giustizia”.
Per questi motivi già nei primi secoli l’accostamento del sole al Cristo era abituale, come testimonia Tertulliano: “Altri ritengono che il Dio cristiano sia il sole perché è un fatto notorio che noi preghiamo orientati verso il sole che sorge e nel giorno del sole ci diamo alla gioia, a dire il vero per un motivo del tutto diverso dall’adorazione del sole”.
Collegata a questo simbolismo di luce è l’usanza di adornare l’uscio di casa con piantine come il pungitopo o l’agrifoglio dalle bacche rosse, mentre quella del vischio è una tradizione celtica cristianizzata. La si considerava una pianta donata dagli dei poiché non aveva radici e cresceva come parassita sul ramo di un’altra. Si favoleggiava che spuntasse là dov’era caduta una folgore: simbolo di una discesa della divinità, e dunque di immortalità e di rigenerazione. La natura celeste del vischio, la sua nascita dal Cielo e il legame con i solstizi non potevano non ispirare successivamente ai cristiani il simbolo di Cristo: come la pianticella è ospite di un albero, così il Cristo, si dice, è ospite dell’umanità, un albero che non fu generato nello stesso modo con cui si generano gli uomini. Alla luce delle antiche feste solstiziali si seguivano alcune usanze, come ad esempio quella di accendere fuochi e falò che hanno, si dice, la funzione simbolica di “bruciare” le disgrazie e i peccati dell’anno morente, di purificare, ma anche di ricevere dal sole, composto di fuoco, nuova energia, fertilità e fecondità: sole che altro non è se non il simbolo di Cristo, come si è già detto.
Ma torniamo alla notte di Natale quando, una volta e ancora adesso in qualche famiglia toscana o emiliana, si accendeva dopo la cena di magro un ceppo che rappresenta simbolicamente l’Albero della Vita, il Cristo, dicendo: “Si rallegri il ceppo, domani è il giorno del pane; ogni grazia di Dio entri in questa casa, le donne facciano figlioli, le capre capretti, le pecore agnelletti, abbondino il grano e la farina e si riempia la conca di vino” – “Il giorno del pane”, lo chiamavano: per questo motivo si mangiavano, come oggi d’altronde, dolci a base di farina che hanno nomi diversi secondo le regioni: pangiallo, pane certosino, pandolce, panforte, pampepato e panettone. Perché mai il pan dolce? L’usanza di consumare questo alimento nei periodi solstiziali potrebbe risalire agli antichi Romani, perché Plinio il Vecchio riferisce che alla festa del Natalis Solis Invicti si confezionavano le sacre e antiche frittelle natalizie di farinata. Con l’avvento del cristianesimo si modificò l’interpretazione riferendosi alle parole di Gesù: “lo sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più lame e chi crede in me non avrà più sete; io sono il pane della vita”. Il Pane della Vita s’incarnò proprio a Betlemme, che nell’ebraico Bet Lehem significava Casa del Pane, nome dovuto probabilmente al fatto che proprio in quella cittadina era un immenso granaio, essendo circondata da campi di frumento.
Quanto al ceppo, non è il solo simbolo arboreo natalizio: lo è anche l’abete che fin dall’epoca arcaica tu considerato un albero cosmico che si erge al centro dell’universo e lo nutre. Fu facile ai cristiani del nord assumerlo come simbolo del Cristo. Nei paesi latini l’usanza si diffuse molto tardi, a partire dal 1840, quando la principessa Elena di Maclenburg, che aveva sposato il duca di Orléans, figlio di Luigi Filippo, lo introdusse alle Tuileries suscitando la sorpresa generale della corte. Persino i suoi addobbi sono stati interpretati cristianamente: i lumini simboleggiano la Luce che Gesù dispensa all’umanità, i frutti dorati insieme con i regalini e i dolciumi appesi ai suoi rami o raccolti ai suoi piedi sono rispettivamente il simbolo della Vita spirituale e dell’Amore che Egli ci offre.
Anche l’usanza della tombola nel pomeriggio del Natale ha una derivazione pagana: durante i Saturnali, che precedevano il solstizio e sui quali regnava Saturno, il mitico dio dell’Età dell’Oro, si permetteva eccezionalmente il gioco d’azzardo, proibito nel resto dell’anno: esso era in stretta connessione con la funzione rinnovatrice di Saturno il quale distribuiva le sorti agli uomini per il nuovo anno; sicché la fortuna del giocatore non era dovuta al caso, ma al volere della divinità.
Nella Roma antica, in occasione dell’inizio dell’anno si usava anche donare delle strenae che arcaicamente erano rametti di una pianta propizia che si staccavano da un boschetto sulla via Sacra, consacrato a una dea di origine sabina, Strenia, apportatrice di fortuna e felicità. Poi a poco a poco si chiamarono strenae anche doni di vario genere, come succede ancora oggi.
É invece soltanto cristiana l’usanza del Presepe. Il primo, vivente, con il bue e l’asino nella mangiatoia, risale al 1223 a Greccio, un paese vicino a Rieti: lo ideò san Francesco d’Assisi ispirandosi a una tradizione liturgica sorta nel secolo IX, quando in molti Paesi europei si formarono dall’ufficio quotidiano delle ore i cosiddetti uffici drammatici a rievocare le principali scene evangeliche con brevi dialoghi. Successivamente quei primi esperimenti si ampliarono in strutture più vaste e complesse, sicché il tema della Natività ispirò nel monastero di Benedikburen un vero e proprio dramma al cui centro campeggiava quella del presepe.
Ispirandosi a quelle sacre rappresentazioni Francesco volle rievocare la scena della Natività con un bue e un asino in carne ed ossa. “L’uomo di Dio” scrisse san Bonaventura da Bagnoregio “stava davanti alla mangiatoia, ricolmo di pietà, cosparso di lacrime, traboccante di gioia”. Ancora oggi a Greccio si celebra il presepe vivente da cui sono derivati quelli inanimati. La mangiatoia era vuota ma il cavaliere Giovanni di Greccio, molto legato a Francesco, affermò di avere veduto un bellissimo fanciullino addormentato che il beato Francesco, stringendolo con entrambe le braccia, sembrava destare dal sonno.

* da Avvenire del 2 marzo 2003 (ripubblicato da Barbadillo.it)
a cura di Alfredo Cattabiani.

venerdì 21 dicembre 2012

mercoledì 19 dicembre 2012

Il Coraggio della Bambina e del Gigante, #SENZAPAURA


Giorgia Meloni e Guido Crosetto #senzapaura #primariedelleidee


Domenica 16 novembre 2012, ore 10, Auditorium della Conciliazione, Signori e Signore, è iniziata la rivoluzione nazional-popolare della Destra Italiana, protagonisti indiscussi il Gigante e la Bambina.
La sala gremita, commessi che tentavano di bloccare il flusso della gente curiosa di ascoltare, giovani e vecchi militanti politici con storie e appartenenze differenti uniti nel nome di una rivoluzione delle IDEE, entusiasmo e rammarico per il fallimento di un progetto, voglia di rivalsa e di partecipazione, questa è stata la manifestazione "Le primarie delle Idee".
Scrosci di applausi durante gli interventi di Guido Crosetto prima e di Giorgia Meloni poi, cuori scalpitanti, soddisfazione per aver visto uomini e donne del territorio parlare delle specificità dei temi da affrontare, poca retorica e poco populismo, tanta rabbia e tanta voglia di rivalsa.
Tra le quattro mura dell'Auditorium della Conciliazione, si è respirata aria nuova, lontana anni luce dalla vecchia An dei Colonnelli, degradati a soldati semplici, e dalla Forza Italia delle Convention del '94.
L'aria è stata quella della rivoluzione di chi milita, di chi lotta, di chi protegge il proprio territorio, la propria autonomia, la propria terra.
Alla fine dei giochi che bello sentire l'Inno di Mameli, cantato non con le corde vocali, ma col cuore di gente che crede nella buona Politica, con la P maiuscola, di quella amica che di fa arrabbiare, che ti fa sentire parte di una comunità, che ti da soddisfazioni e delusioni.
"E' impossibile disse l'orgoglio. E' rischioso disse la ragione. E' inutile disse l'esperienza. Allora proviamoci disse il CUORE."
Pronti a tutto, con Giorgia Meloni!
#SENZAPAURA
di Umberto Garbini.
Oltre 5000 persone alle "primarie delle idee"
 
Oltre 5.000 persone hanno partecipato all’evento ‘Le primarie delle idee’ organizzato da Giorgia Meloni e Guido Crosetto all’Auditorium Conciliazione di Roma. Un pubblico colorato e pieno di entusiasmo: dagli ‘scugnizzi’ della Giovane Italia Napoli Centro Storico (arrivati cantando ‘o surdato nnammurato’) a personaggi della 'Roma bene' come la contessa Pacelli, passando per esponenti di onlus, associazioni, terzo settore e presidenti del mondo produttivo. Tanti cittadini con la voglia di confrontarsi sul futuro del centrodestra. E 'Le primarie delle idee' hanno conquistato la piazza virtuale: 30mila persone l’ora (per 3 ore di evento) da 15 diversi Stati hanno seguito la diretta streaming sul sito www.giorgiameloni.it, mentre circa 150.000 utenti hanno potuto seguire la diretta Twitter e interagire portando addirittura 2 hashtag fra le tendenze Top 10 in Italia, ovvero #primariedelleidee e #senzapaura.

Particolarmente suggestivi e applauditi i video proiettati nel corso della mattinata all’interno della sala e sui 10 schermi installati nel foyer, dedicati a chi è rimasto fuori dalla sala a causa dell’esaurimento dei posti. In uno di questi c’era anche il presidente del Pdl, Silvio Berlusconi, raccontato nei panni metaforici di Re Theoden de 'Il Signore degli anelli', il monarca buono vittima di un sortilegio e mal consigliato da Vermilinguo e salvato dal mago Gandalf.
Molti i deputati e senatori seduti in platea, ma nessun generale né colonnelli: all'Auditorium della Conciliazione era presente un vero e proprio esercito di popolo, guidato da consiglieri regionali, assessori, consiglieri comunali e provinciali, sindaci e tanti militanti, pronti a guardare alle sfide che attendono l’Italia e alle scelte che il centrodestra dovrebbe fare per vincerle.
Insieme a loro erano presenti in sala anche deputati ed eurodeputati, tra i quali Fabio Rampelli, Basilio Catanoso, Giuseppe Cossiga, Giuseppe Moles, Gaetano Nastri, Deborah Bergamini, Enzo Rivellini, Mario Mauro, Alfredo Mantovano, Carlo Fidanza, Marco Scurria, Elisabetta Gardini, Marco Marsilio e l’ex presidente della Regione Lazio, Francesco Storace.




Patto tra il Gigante e la Bambina Crosetto-Meloni gridano tre «no»

La convention della componente più critica: «No al sostegno a Monti, no a Berlusconi candidato premier, no a un Pdl travolto dagli scandali»
L’articolo di Fabrizio De Feo su Il Giornale

Nel giorno delle primarie che dovevano essere e non sono state, Giorgia Meloni e Guido Corsetto lanciano il loro grido di battaglia. La strana coppia, « il gigante e la bambina», l’«articolo il» della politica italiana (tra i due ballano circa 40 centimetri di altezza), convocano le loro «Primarie delle idee», una manifestazione che punta a dare spazio a coloro che dentro il Pdl (o forse fuori?) vogliono dire no ad operazioni tecnocratiche lontane dalla volontà popolare e all’invadenza dell’Unione Europea, rivendicare l’orgoglio del centrodestra e puntare sulla partecipazione dal basso. La scommessa si rivela vincente, al meno in termini numerici e di riuscita della manifestazione. E la soddisfazione si legge negli occhi dei due protagonisti che un po’ stupiti osservano le quasi duemila persone stipate dentro l’Auditorium di Via della Conciliazione mentre un altro migliaio segue l’evento su uno schermo posto sulla grande via che porta a Piazza San Pietro, con la Meloni che ironizza: «O siamo noi, o è il Papa».
Crosetto, invece, prende spunto da un video sugli uomini di coraggio che si conclude con l’inevitabile riferimento al Signore degli anelli, per fare sfoggio di autoironia: «Viste le nostre differenze fisiche, direi che oggi qui si celebra l’alleanza tra gli uomini e gli hobbit. Non dico gli elfi perché so bene che erano troppo belli...». Un gioco che si conclude con l’ex sottosegretario alla Difesa che senza grande sforzo prende in braccio la Meloni. Ma al di là delle battute e del legittimo compiacimento per una convocazione popolare al di fuori dei consueti schemi di corrente o di partito, il fronte guidato dal «liberale» e dall’«identitaria» è pronto a fare sul serio e, se necessario, intraprendere una nuova avventura politica. «Non siamo qui per spartirci le poltrone né il potere» dice Crosetto. «Se avessimo voluto fare questo ci saremmo uniti a coloro che dopo averlo avversato, oggi chiedono a Monti di candidarsi leader del centrodestra. Mi fanno pensare a Mussolini che organizza una festa per Badoglio». Un sentimento antimontiano confermato e amplificato dai fischi che si levano dal pubblico quando sul maxi-schermo appaiono, in un video, le immagini del premier insieme a Silvio Berlusconi.  «Un centrodestra credibile o ha Scajola e Dell’Utri o ha me e la Meloni» attacca Corsetto. «La credibilità non la si guadagna cambiandone i colori o il nome, ma con le persone». In sala, ad ascoltare i due capofila del movimento, anche Mario Mauro, insieme a Francesco Storace, Alfredo Mantovano, Fabio Rampelli, Marco Marsilio, Giuseppe Moles, Deborah Bergamini e Marco Taradash. Ma anche gli europarlamentari Carlo Fidanza, Elisabetta Gardini (che conduce il dibattito) e Marco Scurria. Oltre a una presenza a sorpresa (ma non troppo): quella di Mario Vattani, già console italiano a Osaka (richiamato in patria dalla Farnesina per aver partecipato a un festival di rock identitario di Casa-pound) e ora interessato a un progetto che riporti al centro del dibattito la sovranità nazionale. Di certo dal palco vengono dettate condizioni chiare. Una minaccia di scissione riassumibile in tre secchi «no».
«No al sostegno a Monti», «no alla candidatura Berlusconi» a cui pure viene chiesto di continuare a lottare orgogliosamente e in prima persona, «no a un Pdl travolto dagli scandali». Condizioni non negoziabili. Perché come dice la Meloni: «Noi vogliamo un luogo dove poter lottare e trasformare i nostri sogni in realtà. Se quel luogo è il Pdl lo dobbiamo sapere subito. Perché se non lo è siamo pronti a costruirne noi uno nuovo. Con le idee e con chiunque voglia starci».
VIDEO INTEGRALE DELL'INTERVENTO DI GIORGIA MELONI ALLE PRIMARIE DELLE IDEE 16 DICEMBRE 2012


 
LINK:
 
 

sabato 15 dicembre 2012

PRIMARIE DELLE IDEE




Carissimi,
in queste ore molte cose sono cambiate e c'è da presupporre che molte ancora  cambieranno, ma la nostra determinazione resta al suo posto, come uno scoglio in una  tempesta. Vogliamo ancora rifondare l'Italia e per  farlo è urgente cambiare il centrodestra.
Restiamo in prima linea per affermare la bellezza dell'impegno civile, contrastare le scelte personalistiche e le decisioni calate dall’alto, anteporre all’”io” il “noi”, combattere la cattiva politica, la logica dello scontro frontale che impoverisce la nostra comunità e non rinunciare a equità sociale,  meritocrazia, partecipazione, rinnovamento, futuro.
Grazie alla buona fede di ognuno abbiamo costruito un esercito di uomini liberi e un movimento di popolo presente in ogni angolo d'Italia.
Ora è il momento di schierarsi. Lo faremo il 16 dicembre alle 10 a Roma, presso l'Auditorium della Conciliazione, perché la storia di una grande nazione non abbia a subire battute d'arresto e i valori di cui siamo portatori possano aiutarla a crescere ed essere la casa accogliente per i suoi giovani.
La vergogna della mancata celebrazione delle primarie non ci scalfisce, sarebbero state uno strumento in più per togliere il terreno  sotto i piedi a chi vuole solo esercitare il potere, non ha coraggio, non ha idee  e non merita la nostra fiducia.
Sinistra in testa.
Sarà una bella domenica di luci, suoni, emozioni per riprendere slancio e affrontare, impavidi, le nuove sfide.
Vi aspetto, tutti e ciascuno, portate i vostri amici e ditegli che la via è tracciata e noi la percorreremo. Fino in fondo.
Evviva.
 
Giorgia Meloni.
 

venerdì 30 novembre 2012

Corneliu Zelea Codreanu


 
NELLA NOTTE TRA IL 29 E IL 30 NOVEMBRE 1938 VENIVA UCCISO DAI SICARI DI CAROL II CORNELIU ZELEA CODREANU E 13 CAMERATI.
RICORDIAMO IL CAPITANO I NICADORI E I DECEMVIRI.
PRESENTE!


 
 



"Colui che entra in questa lotta, deve sapere fin dall'inizio che dovrà soffrire. Dopo la sofferenza viene sempre la vittoria. Colui che saprà soffrire, quegli vincerà. Perciò noi legionari accetteremo le sofferenze con onore. Ogni sofferenza è un passo verso il riscatto, verso la vittoria. Una sofferenza non scoraggerà il legionario, ma lo renderà d'acciaio, temprerà il suo spirito. Coloro che hanno sofferto ed ancora soffriranno, saranno veramente eroi della lotta legionaria. La benedizione della Patria si stenderà sopra di loro e sopra le loro famiglie."





PAGINE DI STORIA:
In Ricordo di Corneliu Zelea Codreanu.



venerdì 9 novembre 2012

Ventire anni fa cadeva il Muro di Berlino.


 
Ventitre anni fa cadeva il muro di Berlino e nasceva simbolicamente una nuova Europa. Con il venir meno di quella barriera si riaccendevano le speranze di libertà per le nazioni dell'Est europeo e si iniziava a delineare il fallimento del modello marxista-comunista. Il crollo del muro rappresentò sicuramente la miccia per la sgretolazione dell'Unione Sovietica, ponendo così fine alla guerra fredda. Al contempo, il 9 novembre 1989 rappresentò il giorno in cui migliaia di giovani ebbero il coraggio di superare una linea di confine e di fare una scelta fondamentale per il proprio futuro, schierandosi dalla parte della libertà e della costituzione della nuova Europa. "Sappiamo fin troppo bene che il 9 novembre 1989 fu un momento epocale. Sancì la vittoria dell'Occidente sull'Est che fu di Breznev, Krusciov e Stalin.
Ancora oggi bisogna condurre la lotta per la libertà e per l'edificazione di un'Europa dei popoli, che sappia andare "oltre ogni muro". E benchè il muro fisico che un tempo la divideva sia stato abbattuto, restano ancora altri "muri", che devono essere tirati giù. Pensiamo a un continente che è schiavo della sua stessa burocrazia e della propria timidezza politica, che è vittima di una deriva nichilista e relativista che punta allo sradicamento dell'uomo e all'annientamento dell'identità.
L'Europa che volevano i nostri padri, quella che vogliamo noi, non è purtroppo quella che abbiamo oggi a ventitre anni di distanza. Stiamo avvertendo la debolezza politica dell'Europa proprio in questa crisi economica: tanti ordini, ma poco impegno a contrastare la disoccupazione giovanile, a sostenere la natalità e ad alleggerire la stretta al credito delle imprese, per esempio.
L'Occidente deve decidere da che parte stare: se stare dalla parte della libertà dei diritti civili o piuttosto abdicare al suo ruolo per difendere interessi economici. E' altresì innegabile che la caduta del Muro di Berlino diede il via definitivo a un processo di globalizzazione imponendo il primato dell'economia sulla politica. Ma proprio in nome degli stessi principi etici ripetutamente violati e violentati dal comunismo che si richiede alla politica, alla buona politica, di riprendere il primato sull'economia.

giovedì 8 novembre 2012

Scandale - Discorso del 4 Novembre 2012.

 
 
“Fratelli d’Italia! L’esercito italiano avanza vittorioso a liberarvi per sempre. Il nemico in rotta, fuggendo dalle vostre città fedeli, gloriose, annuncia il nostro arrivo, la nostra Vittoria! Lascia dietro di sé decine di migliaia di prigionieri, centinaia di cannoni e tutte le sue ambizioni. Il giuramento dei nostri Eroi si è compiuto; per la forza delle armi e della giustizia si è avverato il vaticinio dei nostri Martiri; la Libertà è risorta, nel nome di Roma, su, dalle sante tombe dei nostri morti. Dopo un secolo di guerra, di speranze, di ansie, tutta la Patria si riunisce intorno al suo Re. Siate nella gioia calmi e saldi quali foste lungo il dolore depositari incorruttibili della più pura umana civiltà che abbia mai fatto la luce sul mondo. Del nemico vinto non dimenticate le iniquità e le insidie, ma respingete il triste esempio di crudeltà e violenza. Da oggi l’esercito d’Italia è il vostro esercito aiutatelo a ristabilire l’ordine per il bene di tutti, come tanti di voi, da Cesare Battisti a Nazario Sauro, l’hanno aiutato a raggiungere questa Vittoria”
Così proclamava il generale Armando Diaz  dopo la decisiva battaglia di Vittorio Veneto.
Oggi Quattro Novembre è la giornata dei Caduti di tutte le Guerre, dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate. Oggi vogliamo tributare ai nostri Martiri ed Eroi della Patria, la gratitudine e l’affetto di una Comunità, quella di Scandale.
Davanti questo simulacro si è raccolta quasi tutta la Comunità Scandalese, la parte migliore oserei dire, per ricordare ed onorare coloro i quali non hanno esitato immolarsi sull’Altare della Patria per ridarle grandezza e forza.
Seicentocinquantamila (650.000) morti, questo è il numero complessivo dei nostri Martiri caduti sulle pietraie del Carso e sulle rive dell’Isonzo e del Piave, per difendere e liberare i Sacri Confini orientali, le Terre più Sacre d’Italia.
Oggi li vedo qui insieme a noi intorno questo sacrario, in questo giorno solenne, a proclamare le grandezza delle Patria e soprattutto a riaccendere nei nostri cuori la Fiamma ardente della passione per l’Italia e renderci più degni del loro sacrificio, affinché loro stessi, i nostri morti i quali sono i più forti, rispondano a noi vivi: PRESENTE!
Dicevo prima che essi non esitarono ad offrire alla Patria il Sommo Sacrificio ovvero  la propria Immolazione. Voglio riprendere le parole di Salvo D’Acquisto, vice brigadiere dei Carabinieri e medaglia d’oro al valor militare, ucciso dal fuoco nemico nel 1.943 per salvare i suoi commilitoni: “Se io muoio per altri cento, rinasco altre cento volte. Dio è con me ed io non ho paura!”
Queste sono le sue parole mentre porgeva le spalle al piombo nemico. Atto di Amore per la Patria! atto di Amore per il prossimo!
Molti furono gli atti di eroismo tra i nostri militari, gesta di valore ed altruismo con un unico intento, la salvezza e l’Unità dell’Italia.
A noi resta questo Testimone come vessillo luminoso che irradia luce alle future generazioni per ricordare e non obliare il loro Sacrificio, sacrificio carico d’Amore per una Nazione con una storia millenaria di civiltà e faro di luce per gli altri Popoli; e l’invito a fermarci davanti questo Altare  e pregare all’ombra del Tricolore per i nostri eroici combattenti di tutte le guerre, i quali  nei travolgenti assalti caddero invitti per la Patria.
A tal proposito un ricordo ed una preghiera va all’ultimo reduce della seconda Guerra Mondiale che ieri ci ha lasciato, Domenico Lucanto, affettuosamente soprannominato “Micu ‘u Bersaglieri”: Grazie per aver sofferto i dolori della guerra difendendo l’Italia.
Ma oggi è anche la Festa delle Forze Armate.
A loro va il nostro riconoscimento per il lavoro che quotidianamente svolgono nelle nostre città e nei nostri quartieri, assicurando l’ordine e la giustizia. Grazie per aver immolato la vostra Giovinezza al servizio della Patria.
Un Grazie particolare, anche se qui assenti per causa di forza maggiore, ai Carabinieri di Scandale.
Ma il mio pensiero oggi non può non andare in India, dove da mesi sono trattenuti ingiustamente i nostri due Marò, il capitano Massimiliano La Torre ed il sergente Giuseppe Girone del reggimento “San Marco”.
Trattenuti ingiustamente in India, mentre il nostro Governo, governo di tecnocrati, servo delle banche e affamatore del Popolo sta a guardare per non rovinare i rapporti con una economia nascente come quella indiana.
In una società dove l’economia ed il denaro valgono più della libertà e della dignità di una persona non ci si può non indignare e dire a gran voce che i nostri due Marò devono tornare a casa, in Italia.
Un pensiero ed immensa gratitudine, in questo giorno di festa, va a tutti i nostri soldati impegnati nelle missioni di Pace.
Essi sono il nostro orgoglio nel mondo, sono i veri costruttori di Pace  là, in quelle terre disperate e oppressi dalla tirannia.
Un ricordo ed una preghiera a tutti i caduti nelle missioni di Pace, particolarmente voglio ricordare l’alpino Tiziano Chierotti, di solo ventiquattro anni, morto due settimane fa in Afghanistan. Grazie!
Concludendo il ricordo va ai Martiri ed Eroi di Scandale, a loro da questo Sacro Altare eleviamo la preghiera all’Altissimo, affinché possano trovare pace nella Patria Celeste dopo aver servito con Fedeltà ed Onore, fino al Supremo Sacrificio la loro Patria Terrena.
ONORE A VOI MARTIRI GLORIOSI!
 
VIVA L’ITALIA!

Antonello Voce
 
 

venerdì 2 novembre 2012

Addio a Pino Rauti, simbolo del Msi.



Giovanissimo partecipò alla nascita del Movimento sociale italiano di cui fu anche leader. Aveva 85 anni. Assunta Almirante: «E’ stato uno dei grandi della destra italiana»

tratto da LA STAMPA

È morto Pino Rauti. L’ex segretario del Movimento Sociale Italiano, che avrebbe compiuto 86 anni il 19 novembre, si è spento alle 9.30 di questa mattina nella sua casa di Roma. Nel 1946, giovanissimo, contribuì alla nascita del Movimento.
“E’ stato uno dei bravi, dei grandi di questa destra”. le parole di Assunta Almirante, vedova di Giorgio Almirante, storico leader del Movimento sociale, che ha ricordato i guai giudiziari di Rauti, coinvolto nelle inchieste sul terrorismo stragista neofascista: “Molto ingiustamente è stato indicato come un uomo che aveva commesso errori che è stato accertato che non erano suoi, come la strage di piazza Fontana”. Per la vedova Almirante Rauti “è stato una persona di grande intelligenza, è stato indicato come il fondatore di Ordine nuovo ma era un uomo di partito come pochi ce ne sono stati”.

Il Presidente della Camera dei deputati, Gianfranco Fini, ha espresso «il più profondo cordoglio per la scomparsa di Pino Rauti, uomo politico che ha rappresentato una parte di rilievo nella storia della Destra italiana». «Parlamentare rigoroso, intellettuale di profonda cultura, Rauti - conclude - ha testimoniato con passione e dedizione gli ideali della nazione e della società che appartengono alla storia politica del nostro Paese. Ai familiari esprimo i sentimenti della più intensa vicinanza mia personale e della Camera dei deputati».

Il «fascista di sinistra», come è stato definito Giuseppe Umberto Rauti, nacque a Cardinale, in provincia di Catanzaro, il 19 novembre 1926. Fascista di sinistra in contrapposizione con il «fascismo di destra» incarnato da Giorgio Almirante, prima, e da Gianfranco Fini poi. L’attenzione di Rauti si concentrava, infatti, sulla socializzazione e sui temi dell’anticapitalismo e del terzomondismo interpretando, dal suo punto di vista, i motivi ispiratori del fascismo. Questo lo ha relegato per lungo tempo in una posizione minoritaria all’interno del Msi, partito che, giovanissimo, contribuisce a fondare alla fine del 1946. Nei primi anni cinquanta contribuisce a dare nuovamente vita all’organizzazione neofascista che rispondeva alla sigla FAR (Fasci di Azione Rivoluzionaria) insieme ad alcuni appartenenti alla corrente così detta «pagana» e «germanica» della prima organizzazione disciolta nel luglio del 1947.

Dopo due attentati a Roma, presso il Ministero degli Esteri e all’ambasciata statunitense, il 24 maggio 1951 furono condotti numerosi arresti nei confronti dei quadri di questa organizzazione, fra questi: Pino Rauti, Fausto Gianfranceschi, Clemente Graziani, Franco Petronio, Franco Dragoni e Flaminio Capotondi. Tra gli arrestati anche il filosofo Julius Evola, considerato l’ispiratore del gruppo. Il processo si concluse il 20 novembre 1951: Graziani, Gianfranceschi e Dragoni furono condannati a un anno e undici mesi. Altri dieci imputati a pene minori. Tutti gli altri vennero assolti. Tra loro Evola, Rauti ed Erra. Con la fine del processo si concluse definitivamente anche l’adozione della sigla FAR. Nel 1954, dopo la vittoria dei fascisti in doppiopetto e la nomina a segretario di Arturo Michelini, dà vita al centro studi Ordine Nuovo. Nel 1956 Ordine Nuovo esce dal MSI. Arriverà ad avere dai 2.000 ai 3.000 iscritti. Successivamente Giorgio Freda ed altri esponenti di estrema destra entreranno a far parte di Ordine Nuovo. Negli anni sessanta e settanta, il nome di questa organizzazione verrà usato per rivendicare una serie di attentati, ai quali Rauti si dichiarerà sempre estraneo. Nel maggio del 1965 l’istituto di studi militari Alberto Pollio organizza un convegno sulla «guerra rivoluzionaria», a Roma all’Hotel Parco dei Principi, che viene finanziato dallo Stato Maggiore dell’esercito: si trattava di un raduno fra fascisti, alte cariche dello Stato e imprenditori: Rauti presenta una relazione su «La tattica della penetrazione comunista in Italia». Il 16 aprile 1968 parte insieme ad altri 51 estremisti di destra (fra cui l’agente del SID Stefano Serpieri, Giulio Maceratini, Mario Merlino, Stefano Delle Chiaie, Franco Rocchetta) da Brindisi per un viaggio di istruzione sulle tecniche di infiltrazione, nella Grecia dei Colonnelli, a spese del governo greco. Con l’arrivo alla segreteria del MSI nel 1969 di Giorgio Almirante, Rauti e un gruppo di dirigenti rientrò nel partito, e alla guida del movimento restò Clemente Graziani.

Il 4 marzo 1972 il giudice Stiz di Treviso esegue mandato di cattura contro Rauti per gli attentati ai treni dell’8 e 9 agosto 1969. Successivamente l’incriminazione si estenderà agli attentati del 12 dicembre. Il 21 novembre 1973 trenta aderenti ad Ordine Nuovo vengono condannati dalla magistratura per ricostituzione del Partito Nazionale Fascista e viene decretato lo scioglimento dell’organizzazione. Nel 1974, con la rivoluzione dei garofani in Portogallo, viene scoperta l’organizzazione eversiva internazionale fascista Aginter Press con la quale ha stretti rapporti anche Rauti attraverso l’agenzia Oltremare per la quale lavora. Nessuna di queste inchieste ha mai accertato qualche reato a suo carico. Successivamente Pino Rauti fu inquisito per la strage di Piazza della Loggia a Brescia e in merito il 15 maggio 2008 è stato rinviato a giudizio. Assolto il 16 novembre 2010 in base all’articolo 530 comma 2 del codice di procedura penale (insufficienza di prove). Nelle richieste del pm Roberto Di Martino, per quanto concerne la posizione di Pino Rauti si afferma che la sua è una «responsabilità morale, ma la sua posizione non è equiparabile a quella degli altri imputati dal punto di vista processuale. La sua posizione è quella del predicatore di idee praticate da altri ma non ci sono situazioni di responsabilità oggettiva. La conclusione è che Rauti va assolto perché non ha commesso il fatto».
Nel 1972 Rauti viene eletto deputato alla Camera nelle file del Msi nel collegio di Roma, dove verrà sempre rieletto fino alle elezioni del 1994. È promotore di una stagione di rinnovamento dentro il partito, lanciando un quindicinale «Linea», e organizzazioni parallele, dal Movimento giovani disoccupati, ai Gruppi Ricerca Ecologica, e sostenendo i Campo Hobbit fu riferimento delle nuove generazioni del Fronte della Gioventù. La sua era detta la componente dei «Rautiani». Nel 1979, al XII congresso del MSI-DN, viene eletto vicesegretario. È animatore di mozioni congressuali come «Linea futura» (1977), «Spazio Nuovo» (1979 e 1982) e «Andare oltre» (1987). Il 14 dicembre 1987, al XV congresso del MSI a Sorrento, raccoglie quasi la metà dei consensi, insieme alla corrente di Beppe Niccolai, per l’elezione a segretario, ma è battuto da Gianfranco Fini, sostenuto dal segretario uscente e padre nobile del partito Giorgio Almirante, ormai gravemente malato.

giovedì 1 novembre 2012

TO EZRA...

 
 Canto LXV
CONTRO L'USURA
Con usura nessuno ha una solida casa
di pietra squadrata e liscia
per istoriarne la facciata,
con usura
non v'è chiesa con affreschi di paradiso
harpes et luz
e l'Annunciazione dell'Angelo
con le aureole sbalzate,
con usura
nessuno vede dei Gonzaga eredi e concubine
non si dipinge per tenersi arte in casa
ma per vendere e vendere
presto e con profitto, peccato contro natura,
il tuo pane sarà staccio vieto
arido come carta,
senza segala né farina di grano duro,
usura appesantisce il tratto,
falsa i confini, con usura
nessuno trova residenza amena.
Si priva lo scalpellino della pietra,
il tessitore del telaio
CON USURA
la lana non giunge al mercato
e le pecore non rendono
peggio della peste è l'usura, spunta
l'ago in mano alle fanciulle
e confonde chi fila. Pietro Lombardo
non si fe' con usura
Duccio non si fe' con usura
nè Piero della Francesca o Zuan Bellini
nè fu "La Calunnia" dipinta con usura.
L'Angelico non si fe' con usura, nè Ambrogio de Praedis,
nessuna chiesa di pietra viva firmata :"Adamo me fecit".
Con usura non sorsero
Saint Trophine e Saint Hilaire,
usura arrugginisce il cesello
arrugginisce arte ed artigiano
tarla la tela nel telaio, nessuno
apprende l 'arte d'intessere oro nell'ordito;
l'azzurro s'incancrena con usura; non si ricama
in cremisi, smeraldo non trova il suo Memling
usura soffoca il figlio nel ventre
arresta il giovane amante
cede il letto a vecchi decrepiti,
si frappone tra giovani sposi
CONTRO NATURA
Ad Eleusi han portato puttane
carogne crapulano
ospiti d'usura.
 

lunedì 29 ottobre 2012

In Ricordo di Mario Zicchieri.



Bellezza è l’Eternità che si contempla in uno specchio.
Noi siamo l’Eternità, Noi siamo lo Specchio.
 
In ricordo di Mario Zicchieri, nell’Anniversario del suo sacrificio.

Mario Zicchieri
La famiglia Zicchieri abitava in un appartamento, al secondo piano con due camere più servizi, in via Dignano D’Istria, borgata Prenestina periferia di Roma, una traversa stretta e tortuosa. Il marito, Germano, lavorava alla Stefer, azienda tranviaria, come impiegato. Taciturno e democristiano convinto. La moglie, Maria Lidia, invece, lavorava come commessa in una pasticceria di via Po, da “Pasquarelli”. Le figlie, Monica e Barbara, rispettivamente di tredici e dodici anni, frequentavano la scuola in via Aquilonia, dove le scuole medie e il liceo erano completamente attaccate. Infine, l’unico figlio maschio, Mario, diciassette anni, studente al terzo anno del corso per odontotecnici presso la scuola Eastman di via Galvani. Spesso l’orario di lezione si allungavano fino a tardi pomeriggio per le esercitazioni di laboratorio. Aveva fatto il boy scout, era iscritto alla palestra pugilistica di Angelino Rossi e al Fronte della Gioventù, organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, presso la sezione di via Erasmo Gattamelata, nel cuore di uno dei più popolosi quartieri della Capitale, una specie di avamposto nel deserto dei tartari. La simpatia per il fascismo era arrivata a Mario Zicchieri non solo dal lato materno, il nonno di Maria Lidia, Bonifacio Albanesi, fu podestà della cittadina sul litorale romano, Terracina, un personaggio sanguigno e forte, ma anche attraverso un’altra figura decisiva, il maestro elementare, un ex simpatizzante della Repubblica Sociale Italiana. In sezione tutti lo chiamavano “Cremino”. Quel soprannome non derivava dal colore della sua carnagione, ma dal fatto che era troppo goloso dell’omonimo gelato Algida. Una settimana prima dell’agguato, Mario Zicchieri, era andato a raccogliere le firme per una petizione popolare che chiedeva l’installazione degli impianti di illuminazione nel quartiere, insieme ad un altro missino e amico inseparabile, Marco Lucchetti, cresciuto in Australia dove il padre era emigrato come manovale. Ritornato a Roma, si era avvicinato al sezione del Movimento Sociale Italiano per fare amicizia e per ambientarsi. Intanto da giorni la guerriglia per il controllo del territorio era imperversa. Apparvero molte scritte sui muri ad opera di Avanguardia Operaia, persino sotto casa di Cremino, “Fascisti a Morte” con falce e martello. Il 29 ottobre del 1975 la scuola in via Galvani era in sciopero e Mario Zicchieri per arrotondare la paghetta aveva deciso di intrattenere per qualche ora il cuginetto. Gli zii più volte lo invitarono a fermarsi da loro ma Mario Zicchieri aveva degli impegni da rispettare. Infatti la sera prima era stato a cena insieme ad altri missini per organizzare un volantino e ricordare l’assassinio di Sergio Ramelli a Milano, preparare la manifestazione a favore degli sfrattati e aspettare il falegname per cambiare la serratura della sezione. Spesso era proprio Mario Zicchieri che disegnava i volantini, con lo stilo d’acciaio direttamente sulla matrice di cera. Non era facile con la pallina tonda del pennino, bisognava stare molto attenti, anche se Mario Zicchieri era già abituato con i ferri da odontotecnico. Cremino era in sezione, davanti al ciclostile che sputava inchiostro e divorava carta. Alcuni missini, guardando la strada lo invitarono ad uscire per guardare delle ragazze. Marco Lucchetti era già sulla soglia della porta, ed entrambi uscirono. Nemmeno a cinque metri dal marciapiede della sezione ad attenderli una macchina, una centoventotto di colore verde targata Roma M 92808, con il motore acceso. Scesero due persone, pochi passi e spararono con fucili a pompa, cartucce da caccia misura 00, una pioggia di pallini, da quella distanza non vi era scampo. Mario Zicchieri fu il primo a essere ferito, colpito alle gambe e al pube, avvitandosi su se stesso cadde a terra agonizzante. L’altra fucilata, invece, fu per Marco Lucchetti, colpito, invece, alle gambe e a una mano, non in pericolo di vita. Il più grave era proprio Cremino. Gli assassini avevano mirato al basso ventre, l’arteria era recisa e nel giro di pochi secondi già era in un lago di sangue. Il primo a soccorrerlo fu il tappezziere che aveva la bottega proprio al fianco della sezione missina. Subito si rese conto del problema dell’emorragia. Corse in negozio prese un giornale per tentare disperatamente di bloccare il sangue con dei tamponi improvvisati premendo sul bacino. Ma Mario Zicchieri era in stato di semincoscienza e quando fu trasportato all’ospedale era già clinicamente morto. Aveva appena diciassette anni. Proprio in quel momento, mentre partivano le fucilate, si trovava di passaggio un aviere in servizio, Vincenzo Romani. Il militare si lanciò con la propria vettura all’inseguimento, ma dalla centoventotto si abbassarono i finestrini e spuntarono di nuovo le armi. Il militare fu costretto a ritirarsi. Al capezzale di Marco Lucchetti, il padre Alessandro, con il torace fasciato per le fratture che si era procurato in un incidente sul cantiere. La madre di Mario Zicchieri fu avvertita dal cognato mentre si trovava in pasticceria. Il padre, Germano, invece, nella sua abitazione, poco dopo il rientro dall’ufficio, da un giornalista, subito colto da malore. I solenni funerali furono organizzati nella chiesa di San Leone Magno, al Prenestino, il 31 ottobre del 1975 alle ore sedici. Migliaia di persone arrivarono in corteo da via Erasmo Gattamelata, letteralmente ricoperta di fiori e di corone. Come al solito fu un rito di casa missina. In testa il Segretario Giorgio Almirante, Teodoro Buontempo e D’Addio, parlamentari del partito e consiglieri comunali. Tutti i ragazzi indossarono la fascetta del Movimento Sociale Italiano. In chiesa numerosi cartelli, quello più significativo del Fronte della Gioventù: “ Mario aveva diciassette anni, voleva vivere, voleva cambiare questa sporca Italia”. Si presentò anche la fidanzata di Mario Zicchieri per la prima volta alla famiglia. Da via dei Volsci, sede di Autonomia San Lorenzo, un drappello di agitatori cercò più volte di interrompere la cerimonia. La situazione degenerò in assalti e contrassalti. Circa cinquecento missini, guidati da Paolo Signorelli e D’addio, si diressero verso il centro per assaltare il Ministero dell’Interno in via del Viminale, la sezione del Partito Comunista Italiano di via Cairoli, la sezione di lotta Continua in via dei Piceni. Quattro sconosciuti, a bordo di una Bmw, aggredirono a colpi di pistola, la sezione missina in via Etruria vicino a San Giovanni. Una centoventotto con quattro neofascisti fu data alle fiamme, per fortuna gli occupanti riuscirono miracolosamente a mettersi in salvo. Nella notte, i militanti missini, affissero in tutta la città manifesti in onore a Mario Zicchieri. Anche il Sindaco di Roma, Clelio Darida, dedicò la seduta alla giovane vittima. Germano Zicchieri, dal giorno della morte del figlio, lo sguardo si era pietrificato, era entrato in un tunnel, in un calvario di depressione che lo portò alla morte nel 1996. Monica e Barbara, le sorelle, con il contatto obbligato con i più grandi diventò per loro un inferno. Addirittura inseguite, spintonate e insultate da alcuni ragazzi della sinistra extraparlamentare del liceo. Furono costrette a perdere l’anno scolastico e a iscriversi presso un nuovo istituto. Maria Lidia, invece, fu licenziata dalla pasticceria, per fortuna trovò occupazione in una fabbrica a Pomezia grazie all’aiuto di Michele Marchio, avvocato del Movimento Sociale Italiano. Si costituì parte civile nel processo giudiziario per la morte del figlio. Lo Stato, come al solito, fu assente. Ancora una volta non si videro assistenti sociali, istituzioni, psicologi, nessuno. Completamente abbandonati al loro dolore. Il 2 gennaio del 1978 fu devastata la lapide che i giovani del Fronte della Gioventù avevano affisso sul muro di via Gattamelata. Un chilo di polvere da mina e venti per cento di tritolo. Il 16 luglio dello stesso anno un’altra bomba esplose contro la sezione Prenestino. Intanto, la Magistratura brancolava nel buoi. Una descrizione approssimativa dei due assassini venne data dall’aviere e da Marco Lucchetti proprio durante il periodo di degenza in ospedale. Il Questore, in un primo momento, aveva battuto la pista dei Nuclei Armati Proletari suscitando l’ira di Lotta Continua. In mancanza di necessari riscontri il Giudice Istruttore D’Angelo fu costretto ad archiviare l’inchiesta. Solo sette anni dopo, nel 1982, durante il processo Aldo Moro, le dichiarazioni di una brigatista pentita, portarono alla riapertura del caso. Emilia Libera sostenne che uccisero Mario Zicchieri per essere promossi brigatisti. In una riunione ristretta del Comitato Comunista di Centocelle si era parlato dell’omicidio di Mario Zicchieri. Gli esecutori furono Bruno Seghetti, Germano Maccari e Valerio Morucci detto “Pecos”, anni dopo considerati tutti organizzatori del sequestro Aldo Moro ad opera delle Brigate Rosse durante i cinquantacinque giorni del 1978. Le conferme arrivarono anche da altri brigatisti, Walter Di Cera e Antonio Savasta. Il giudizio per Mario Zicchieri fu inserito all’interno del processo Aldo Moro, insieme a tutti gli altri delitti compiuti dalle Formazioni Comuniste Armate, ribattezzate “Fac”. La richiesta di rinvio a giudizio fu per omicidio premeditato. Il 20 febbraio del 1986 la seconda Corte d’Assise di Roma, presieduta da Sorichilli, emise il verdetto. Assoluzione piena per non aver commesso il fatto. Sconcerto per la famiglia Zicchieri e per la parte civile. Il processo di secondo grado si svolse meno di un anno dopo. Sette ore di camera di consiglio, il rappresentante della Pubblica Accusa, Procuratore Generale Labate, chiese e ottenne l’assoluzione per insufficienza di prove. Nel settembre dello stesso anno venne incredibilmente bocciato il ricorso in Cassazione e per la parte civile non ci fu più nulla da fare. I tre brigatisti furono condannati per altri reati ma non per l’omicidio di Mario Zicchieri. Strano che un personaggio chiave come l’aviatore, Vincenzo Romani, testimone oculare dell’omicidio in via Gattamelata, non fu mai ascoltato dalla Corte.
CAMERATA MARIO ZICCHIERI, PRESENTE!