Salviamo i nostri Marò

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I nostri due militari devono tornare a casa

Siamo contro ogni genere di Discarica nel nostro Territorio!

venerdì 31 agosto 2012

SENZA PAURA | Atreju 2012 | 12-16 Settembre

 
 
Carissimi, ritorna il fatidico appuntamento  con "Atreju", la festa nazionale della Giovane Italia, che anche quest'anno si svolgerà a Roma nel parco del Celio, dal 12 al 16 settembre
"#SenzaPaura" è il titolo scelto per questa edizione. Perché oggi più che mai vogliamo gridare che non ci stiamo, che non saremo noi ad uccidere i nostri sogni e  non saremo noi a lasciare il futuro nella mani di chi ha abusato del passato compromettendo il presente. Senza paura, quindi, per descrivere il moto d'orgoglio della generazione che, nonostante tutto, ogni giorno scende in campo per combattere la crisi, per uscirne e per concedere ai propri figli un'Italia migliore di quella che ha ereditato.

Il programma ancora in fase di elaborazione, come di consueto verrà svelato i primi giorni di Settembre e affronterà i temi caldi di questa stagione politica e sarà affiancato da tanta cultura, con gli aperitivi letterari che animeranno il tardo pomeriggio e tanta musica ed intrattenimento. Non mancherà il 'Premio Atreju', il riconoscimento che la nostra generazione dà a coloro che si sono distinti per aver vissuto la propria vita, professione o passione, con dedizione e coraggio, diventando esempio.
Sul nuovo portale modalità di partecipazione e informazioni. Per rimanere aggiornati vi chiediamo di seguire Atreju sui canali ufficiali e condividere le notizie:

Fb: Atreju -Pagina Ufficiale-

Twitter: @atreju2012
Atreju è la nostra festa, la possibilità di raccontare la nostra visione del mondo. Atreju è la nostra sfida, siamo certi che anche quest'anno saremo all'altezza!

Marco Perissa                                      
Presidente Nazionale della Giovane Italia. 
Annagrazia Calabria
Coordinatrice Nazionale della Giovane Italia. 

domenica 12 agosto 2012

Il fuoco freddo dell'inferno.




«Inferno» è ormai una parola un po’ desueta, anche nel linguaggio religioso: abbiamo pensato di soffiar via la cenere che si era depositata su questo argomento incandescente (l’immagine del fuoco, come vedremo, è capitale) e di riproporne qualche aspetto. L’inferno è stato un po’ ostracizzato per ragioni diverse. C’è chi lo considera il reperto di un paleolitico spirituale ormai ammuffito e, al massimo, col filosofo francese Jean-Paul Sartre (1905-1980), proclama che «l’inferno sono gli altri», ossia il prossimo crudele o noioso. C’è invece chi afferma in modo perentorio, citando il poema edito postumo (1886) La fine di Satana di Victor Hugo (1802-1885), che «l’inferno sta tutto intero in questa parola: solitudine», la quale è il campo da gioco di Satana. C’è pure la ben fondata convinzione del filosofo ottocentesco americano William James (1842-1910), secondo il quale «l’inferno di cui parla la teologia non è peggiore di quello che noi creiamo a noi stessi in questo mondo». Ed effettivamente, come con la grazia divina accolta e vissuta in noi già si sperimenta il paradiso della salvezza, così chi pecca e odia già è insediato in uno di quei gironi simbolici che mirabilmente Dante ha tratteggiato e popolato nei canti del suo Inferno.

Dopo tutto, già san Giovanni metteva in bocca a Gesù queste parole: «Chi non crede è già stato condannato» (Gv 3,18). Che l’inferno, poi, sia vuoto lo si è ripetuto sbrigativamente sulla base di una riflessione ben più ponderata e articolata del famoso teologo Hans Urs von Balthasar (1905-1988:( si dev’essere invece consapevoli che, se è vero che immensa è la misericordia di Dio, superiore non solo al nostro peccato, ma alla stessa sua giustizia, come già insegnava anche l’Antico Testamento (cf Es 20,5-9; 34,6-7), è altrettanto vero che esiste la libertà umana, presa sul serio da Dio che la rispetta fino alle sue estreme conseguenze, anche quella del rifiuto radicale e totale del bene e dell’amore. Scriveva giustamente la romanziera tedesca Luise Rinser (1911-2002:( «Ecco la mia idea precisa dell’inferno: uno se ne sta lì seduto, completamente abbandonato da Dio, e sente che ormai non può più amare, mai più, e che mai più incontrerà un uomo per tutta l’eternità».

Ebbene, se stiamo alla Bibbia, sappiamo che è centrale un simbolo per rappresentare l’inferno: il fuoco. Anche l’immagine spaziale della Geenna, che in ebraico significava "valle dei figli di Hinnon", attirava con sé l’idea di un incendio, perché era il luogo ove avveniva la combustione dei rifiuti di Gerusalemme e ove si consumavano culti pagani proibiti, nei quali si bruciavano persino figli, immolandoli per placare la divinità (sono le «alture di Tofet» a cui fa cenno Ger 7,30-33). La trasformazione della Geenna e del fuoco in un simbolo infernale è, però, un risultato tipicamente cristiano, legato alle parole di Gesù (il profeta Gioele, al massimo, ricorre a un luogo vicino alla Geenna, la valle di Giosafat, per collocarvi la sede del giudizio divino finale sulla storia: cf Gl 4,2.12-14). Ecco solo un paio di esempi. «Se la tua mano [poi: il piede e l’occhio, ndr] ti è di scandalo, tagliala! È meglio per te entrare monco nella vita, che andare con tutte e due le mani nella Geenna, nel fuoco inestinguibile» (Mc 9,43-48). Nel giudizio finale agli empi è riservata questa minaccia di Cristo: «Andate via da me, o maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi seguaci» (Mt 25,41). L’immagine passerà anche in san Paolo, che destina a «essere bruciata» l’opera malvagia dell’apostolo, perché «la svelerà quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco saggerà quale sia l’opera di ciascuno» (1Cor 3,13-15).

San Giacomo, nella sua lettera, intravede nel peccato di lingua il bagliore delle fiamme infernali: «Anche la lingua è un fuoco! […] essa brucia la ruota della nostra vita ed è poi bruciata essa stessa nell’inferno» (Gc 3,5-6). L’Apocalisse allargherà l’immagine trasformando gli inferi in uno «stagno di fuoco e zolfo», ove sono relegati la Bestia satanica, i falsi profeti, la morte, gli inferi, i vili, gli increduli, gli abietti, gli omicidi, gli immorali, i fattucchieri, gli idolatri e tutti i menzogneri (cf Ap 20,10.14; 21,8). Ora, il fuoco di per sé è nella Bibbia un simbolo divino, come la stessa scenografia delle teofanie attesta (si pensi al roveto ardente del Sinai). Cristo dichiara: «Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e vorrei davvero che fosse già acceso!» (Lc 12,49). Il fuoco è, inoltre, il simbolo dello Spirito Santo, come si ha nella scena ben nota della Pentecoste. Ora, è proprio il fuoco divino a rivestire anche un’altra funzione, rivelando un diverso volto di Dio che è, sì, il Salvatore, ma è al tempo stesso il Giudice, non indifferente alle esigenze della morale. Il fuoco è quindi l’amore di Dio, ma è altresì la sua giustizia.

Ecco, allora, il vero significato del fuoco  dell’inferno: è un modo espressivo e incisivo per mettere in scena il giudizio divino sul male. Il Signore non è il "buon Dio" di una certa morale accomodante; egli è il fuoco e, perciò, non può essere manipolato come a noi più piace, non è riconducibile alle nostre manovre e ai nostri diversivi. Egli è, certo, fuoco di amore e di passione profonda, egli riscalda i cuori e scioglie il gelo delle anime infelici. Ma è anche il fuoco che scotta chi tenta di afferrarlo o spegnerlo. La Geenna con il suo ardente focolare è, quindi, il simbolo dell’agire giusto di un Dio libero e ben deciso a ingaggiare con il male la sua lotta vittoriosa. In questo senso aveva ragione lo scrittore cattolico francese Georges Bernanos (1888-1948) quando, nel suo romanzo Monsieur Ouine (1946), non esitava a dichiarare: «Si parla sempre del fuoco dell’inferno, mentre l’inferno è freddo», proprio perché è la mancanza del fuoco benefico dell’amore. Si riesce, così, a comprendere, come spesso si è spiegato, che l’inferno, anche se nella Bibbia e nella tradizione è stato collocato in un luogo, è piuttosto uno stato, una realtà in cui viene a trovarsi la persona peccatrice.

Certo, come si è visto, l’Antico Testamento inizialmente vedeva l’oltretomba come un orizzonte indistinto (lo sheol), dove tutti piombavano dopo la morte. Il libro della Sapienza aveva cominciato a ridurlo a sede dei malvagi, facendone così una dimora infernale, mentre i giusti entravano nella comunione divina, nello zenit celeste, rispetto a quell’oscuro nadir di tenebra e di silenzio.

A questo punto possiamo comprendere quanto sia decisiva e necessaria la categoria di "inferno" espressa attraverso il simbolismo igneo come componente della vicenda umana nella sua libertà di scelta per il bene o per il male, e quanto lo sia anche per lo stesso concetto di Dio, Signore buono e giusto, pronto a tutelare la morale, a sanzionare il male e a premiare il bene. E proprio perché è sganciato dalla materialità spaziale, l’inferno penetra già ora, attraverso la morte, nella storia personale e universale, così come vi si insedia il paradiso. Aveva allora ragione - anche se il suo linguaggio non era del tutto teologicamente calibrato e la sua finalità non era strettamente religiosa - Italo Calvino (1923-1985) quando, nel romanzo Le città invisibili(1972), scriveva: «L’inferno dei viventi è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme. Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo è facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte, fino al punto di non vederlo più. Il secondo è rischioso ed esige attenzione e approfondimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio».

di Gianfranco Ravasi.

domenica 5 agosto 2012

Festa Madonna della Difesa 3 - 4- 5- Agosto 2012

Un pensiero alla Madonna della Difesa 
nel giorno della sua Festa.



"Volgi lo sguardo sopra Scandale che ti consacra il cuor Madre della Difesa a Te sia Gloria e Onore"

giovedì 2 agosto 2012

Giusva e le colpe della strage: "La verità? Fa troppa paura".



Caro direttore,

la strage di Bologna è avvenuta 32 anni fa, le indagini si sono concluse 25 anni fa e la nostra condanna è datata 20 anni. Fu una condanna atipica, dove la procura prima, e le corti poi, sostennero che le prove vere erano state nascoste dai servizi segreti e quindi bisognava per forza affidarsi agli indizi.

L'indizio principale era che le stragi in Italia le fanno per forza i fascisti, nel periodo in questione io e mia moglie eravamo i terroristi fascisti più noti, quindi... «non potevamo non sapere». La sentenza ammetteva che il quadro probatorio non era completo, e sostanzialmente rinviava a una «inchiesta bis» per individuare i tasselli mancanti. Il fatto è che i tasselli mancanti erano molti. La sentenza per la parte che riguardava noi ammetteva che nessun testimone ci aveva mai visti a Bologna, e che quindi non eravamo stati noi a portare la bomba dentro la stazione, ma sicuramente (per il ragionamento di cui dicevamo prima) facevamo parte del gruppo che tale strage aveva organizzato. Veniva rinviato alla «inchiesta bis» l'incarico di individuare gli effettivi esecutori materiali «in loco», individuare l'origine dell'esplosivo, individuare il movente, e individuare i mandanti. Come dicevo, da quella promessa di «inchiesta bis» sono passati 20 anni, e nulla è stato trovato. La cosa, comprensibilmente, crea un certo nervosismo.

Chi ama la vecchia sentenza grida alla luna che il processo non riesce ad andare avanti perché io non confesso chi sono i miei mandanti e gli altri della banda. In linea strettamente teorica potrebbe essere una ipotesi. Però poi di ipotesi se ne possono fare altre, ad esempio che l'inchiesta non riesce ad andare avanti perché sin dall'inizio marcia nella direzione sbagliata. Questa cosa iniziò a dirla pubblicamente Cossiga già nel 1998, quando con Francesca andammo a trovarlo sperando potesse darci informazioni utili per ridiscutere il nostro processo. Ci disse che fogli «firmati e bollati» non ne aveva, ma che la vera pista su Bologna era quella palestinese. Sono passati altri 14 anni, e nel silenzio di molti, alcuni storici dilettanti (nel senso positivo del termine, ossia di gente che fa le cose per passione, non per tornaconto) hanno iniziato a studiare una materia difficilissima, il terrorismo arabo in Italia. Non se ne sa niente, non esistono libri esaustivi né niente. Ma il terrorismo arabo in Italia ha fatto più di 60 morti, e più di 300 feriti. Ma non se ne parla mai, non c'è mai una commemorazione, mai un servizio rievocativo in televisione, mai una lapide da nessuna parte, mai una associazione dei parenti delle vittime. Quando il presidente Napolitano ha istituito la giornata a ricordo delle vittime del terrorismo, nell'elenco preparato dagli uffici del Quirinale non c'era nessuna di queste 60 vittime.

È su questo silenzio che, assieme ad alcuni di questi «storici dilettanti», stiamo ragionando. Silenzio sulle vittime, e sempre scarcerazioni in tempi fulminei dei vari palestinesi arrestati. Che è un po' quello che sta succedendo ancora oggi, quando l'Italia, non importa chi in quel momento sia al governo, cede sempre ai ricatti del terrorismo filo-arabo, e paga tutti i riscatti e non arresta mai nessuno. Dopo che si è scoperto che fisicamente presenti a Bologna c'erano due terroristi dell'estrema sinistra tedesca legata al terrorismo palestinese, è ovvio che le persone ragionevoli si pongano il dubbio se c'entrino qualcosa. È ovvio che se si scopre che tra le vittime di Bologna c'era un giovane dell'Autonomia Operaia romana, le persone ragionevoli si ricordano che solo pochi mesi prima, a Ortona, tre capi dell'Autonomia Operaia romana erano stati arrestati mentre trasportavano un potente missile terra aria per conto di un certo Saleh, dirigente del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina che abitava a Bologna. Viene spontaneo, alle persone semplici, domandarsi se per caso, come era successo pochi mesi prima nelle Marche, anche il 2 agosto a Bologna dei giovani romani stessero aiutando i loro amici palestinesi a trasportare un carico di armi. Se poi ci aggiungiamo che dal carcere in Francia il capo dei terroristi filopalestinesi dell'epoca, Carlos lo Sciacallo, in diverse interviste ha ammesso che la sua «Organizzazione» quel giorno era presente alla stazione di Bologna... Carlos dice che un loro trasporto è stato boicottato dagli americani o dagli israeliani per rovinare i buoni rapporti tra i terroristi palestinesi e i nostri servizi segreti (lo ha scritto diverse volte, e questa tesi è stata confermata da almeno due dirigenti palestinesi ormai in pensione, ma nessuno sembra stupirsene). Cossiga prima di morire in diverse interviste aveva parlato anche lui di un «incidente», ma lo riteneva casuale. 

Un funzionario dei servizi segreti civili italiani fu il primo, mi pare già nel 1981, a dire che si trattava di un incidente, ma venne messo a tacere, e tutto sommato fu facile parlo perché risultava iscritto alla P2. Licio Gelli, senza tutti i ragionamenti e i riscontri che invece aveva fornito Cossiga, parla anche lui da 30 anni di un «incidente», seppure in una maniera un po' grossolana. Io, storico dilettante più scarso degli altri, ancora non ho nessuna convinzione certa su ciò che è accaduto a Bologna. Mi rendo conto però che certi argomenti creano preoccupazione. Mi sembra un buon segno. Però ci vorrà ancora tempo, tanta pazienza e un pizzico di coraggio per avvicinarsi se non alla verità, almeno al contesto della verità.

(di Giuseppe Valerio Fioravanti - fonte: www.ilgiornale.it)

mercoledì 1 agosto 2012

IRLANDA: I DISSIDENTI ARMATI SI UNISCONO SOTTO LA BANDIERA DELL'IRA...


La Real IRA congiuntamene alla RAAD e ad una coalizione di gruppi armati indipendenti si sono uniti sotto all’unica bandiera dell’IRA. Esclusa la Continuity IRA.

Real IRA, Republican Action Against Drugs e gruppi armati minori hanno deciso di formare una ”struttura unificata, con un’unica leadership” al servizio dell’Irish Republican Army.

L’annuncio è partito dalle pagine del Guardian che afferma come la nuova IRA comprenda diverse centinaia di dissidenti armati, tra cui ex membri della Provisional IRA.

La nuova organizzazione paramilitare avrebbe pianificato l’intensificazione degli attacchi terroristici contro le forze di sicurezza e tutto ciò che sia simbolo della presenza britannica in Irlanda (stazioni della PSNI, l’Ulster Bank, Derry Uk’s City of Culture 2013).

Nella dichiarazione che di seguito riporteremo, la nuova IRA puntualizza come la costituzione di una libera, indipendente ed unita Irlanda abbia inevitabilmente sofferto della spaccatura all’interno del movimento repubblicano, facendo chiaro riferimento al “tradimento” dello Sinn Fein reo di aver “venduto” gli ideali repubblicani nell’ambito del suo ruolo all’interno dello power – sharing a Stormont.

Non manca il riferimento al Segretario di Stato, Owen Paterson, responsabile in primis dell’internamento di alcuni elementi di spicco del movimento repubblicano quali Marian Price e Martin Corey.

“I repubblicani “non-conformi” vengono sottoposti a vessazioni, arresti e violenze da parte delle Forze della Corona britannica, altri sono stati internati per decisione della supremazia brittanica. E’ l’Inghilterra, non l’IRA, ad aver scelto la provocazione e il conflitto”.

E’ la prima volta che il movimento armato si riunisce dopo la firma del Good Friday Agreement avvenuta nel 1998.