Salviamo i nostri Marò

Salviamo i nostri Marò
I nostri due militari devono tornare a casa

Siamo contro ogni genere di Discarica nel nostro Territorio!

PAOLO DI NELLA

Dedicato a PAOLO
"Noi  purtroppo non siamo ancora un'élite, perché se lo fossimo sapremmo certamente guidare il nostro popolo sulla via nuova. Per ora siamo soltanto delle persone che cercano di essere uomini, uomini e donne che vivono uno stile di vita autentico; ma per essere degli uomini nuovi non basta credere in determinati valori, è necessario viverli e temprarli nell'agire, quotidianamente: questa è in parte l'importanza di fare politica. Rivoluzione non è qualcosa di astratto, che sa di miracolo : è qualcosa che si costruisce giorno per giorno, pezzo per pezzo, sbagliando e riprovando, anche col sacrificio personale, anche riuscendo a superare tanti problemi contingenti che si presentano e che spesso, anche se sembrano tanto grandi ed insormontabili, se solo li si prova a guardare con un'ottica diversa, risultano delle inezie."                                           PAOLO DI NELLA
Paolo Di Nella  + 9 Febbraio 1983
Oltre il silenzio...
per non dimenticare

L'aggressione...

Paolo amava il suo quartiere, e proprio in nome di questo amore aveva programmato una battaglia per l'esproprio di Villa Chigi, uno spazio da destinare ad un uso sociale per gli abitanti del quartiere, per i giovani. Perchè Paolo aveva un sogno, oltre a quello rivoluzionario che lo spingeva a militare nell’allora organizzazione giovanile del Movimento Sociale Italiano, il sogno di vedere gli spazi inutilizzati dei rioni e dei quartieri riqualificati e trasformati in luoghi di aggregazione, di utilità sociale, di solidarietà e di incontro. Paolo sognava di destinare parte di questi spazi ai giovani, alle loro attività, allo sviluppo della loro innata creatività. Sognava di vedere spazi destinati alla socializzazione, all’incontro di diverse generazioni attorno a progetti artistici, culturali, sociali e metapolitici in genere. 
Per far partecipare gli abitanti del quartiere a questa battaglia sociale, il 3 febbraio sarebbe dovuta cominciare una raccolta firme degli abitanti della zona. Paolo, impegnato in prima persona nell'iniziativa, aveva dedicato gran parte della giornata del 2 febbraio ad affiggere manifesti che la rendevano pubblica. Dopo una breve interruzione, l'affissione riprese alle 22.00. Durante il percorso non ci furono incidenti, anche se Paolo e la militante che lo accompagnava notarono alcune presenze sospette.
  
Verso le 24.45 Paolo si accingeva ad affiggere manifesti su un cartellone, situato su uno spartitraffico di Piazza Gondar, di fronte alla fermata Atac del 38. Qui sostavano due ragazzi, apparentemente in attesa dell'autobus (N.B. in Viale Libia, non esistendo una linea notturna, dopo le 24.00 non passavano autobus). Non appena Paolo voltò loro le spalle per mettere la colla, si diressero di corsa verso di lui.

Uno di loro lo colpì alla testa. Poi sempre di corsa, fuggirono per Via Lago Tana. Paolo, ancora stordito per il colpo, si diresse alla macchina, da dove la ragazza che lo accompagnava aveva assistito impotente a tutta la scena. Dopo essersi sciacquato ad una fontanella la ferita, ancora abbondantemente sanguinante, Paolo riportò in sede i manifesti e il secchio di colla.

Verso l'1.30, rientrò a casa. I genitori lo sentirono lavarsi i capelli, muoversi inquieto e lamentarsi. Lo soccorsero chiamando un'ambulanza, che però arrivò quando ormai Paolo era già in coma. Solo nella tarda mattinata del giorno dopo, il 3 febbraio (tardi, maledettamente tardi per le sue condizioni), Paolo venne operato, e gli vennero asportati due ematomi e un tratto di cranio frantumato.
 
Le indagini...

Le prime indagini furono condotte con estrema superficialità dal dirigente della Digos romana incaricato del caso, il dott. Marchionne.

Non ci furono infatti né perquisizioni né fermi di polizia per gli esponenti dell'Aut.Op. del quartiere Africano. La ragazza che era con Paolo, unica testimone dell'agguato, venne interrogata dagli inquirenti che, più che all'accertamento dei fatti, sembravano interessati alla struttura organizzativa del Fronte della Gioventù e ai nomi dei suoi dirigenti. Tutto per dar corpo, come avvenne nel '79 per l'omicidio di Francesco Cecchin, all'ignobile storiella della "faida interna".

L'istruttoria sembrò avere una solerte ripresa quando al capezzale di Paolo arrivò anche l'allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini.

Passato però il momento di risonanza dovuto a questo gesto, tutto sembrò tornare ad essere chiuso in un cassetto. La sera del 9 febbraio, dopo 7 giorni di coma, la solitaria lotta di Paolo contro la morte giunge al termine: si spegne alle 20.05.

Ai militanti del Fronte della Gioventù che in tutti quei giorni si erano stretti intorno ad una speranza disperata, vegliando al suo capezzale, quasi a voler proteggere Paolo e difenderlo come non erano riusciti a fare quando era vivo, non restò che vegliare il suo corpo. Seguirono giorni di forte tensione: lo striscione commemorativo affisso a Piazza Gondar venne strappato e deturpato più volte; sui muri comparvero scritte inneggianti all'assassinio di Paolo. Il tutto condito da discorsi e commenti disinvolti e gratuiti trasmessi da radio onda rossa.

Dopo il 9 febbraio, finalmente, gli inquirenti si decisero, almeno apparentemente, a dare concretezza alle indagini. Vennero allora fatte alcune perquisizioni nelle case dei più noti esponenti dei Collettivi autonomi di Valmelaina e dell'Africano.

Uno dei massimi sospettati era Corrado Quarra, individuato perché non nuovo ad aggressioni a ragazzi di destra e molto somigliante all'identikit fornito dalla testimone.
  
Dopo aver tentato varie volte di sottrarsi all'incontro con i magistrati, comportamento che non fece altro che confermare i sospetti su di lui, venne emanato a suo carico un ordine di arresto per concorso in omicidio volontario, eseguito per caso la notte del 1 agosto '83. In un confronto all'americana Daniela, la ragazza che era con Paolo quella notte, lo riconobbe come colui che materialmente colpì Paolo. In conseguenza dell'avvenuto riconoscimento il fermo di polizia a suo carico divenne ordine di cattura per concorso in omicidio volontario aggravato da futili motivi.

Visti i risultati, si era quasi sicuri ormai di poter arrivare allo svolgimento del processo e all'individuazione anche del secondo aggressore. Dopo 3 mesi di silenzio, il 3 novembre la testimone venne convocata per il secondo riconoscimento. Concentrandosi sulle caratteristiche somatiche della persona che accompagnava lo sprangatore, Daniela indicò il secondo presunto aggressore. A questo punto si rivelò il tranello in cui era caduta: il giovane da lei riconosciuto non era l'indiziato (Luca Baldassarre anche lui autonomo dell'Africano) ma un amico da lui appositamente scelto per via della grande somiglianza. Il giudice istruttore dr. Calabria, che peraltro aveva un figlio simpatizzante degli ambienti dell'autonomia dell'Africano, disse allora beffardamente alla ragazza che, se aveva sbagliato il secondo riconoscimento poteva aver sbagliato anche il primo. Discorso preparatorio finalizzato a facilitare la scarcerazione di Quarra, che avvenne, con proscioglimento da tutte le accuse, il 28/12/1983. Questo avvenimento, che segnò la fine delle indagini sull'omicidio di Paolo, passò sotto silenzio. Se ne avrà infatti notizia solo il 30/05/1984, grazie ad un comunicato stampa del Fronte della Gioventù. 
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Paolo di Nella, quando è stato assassinato, sognava di veder nascere e crescere a Roma, come nel resto d’Italia, tante Comunità Giovanili. Paolo di Nella, quando è stato assassinato, sperava che qualche municipio romano al massimo potesse trasformare in realtà questo suo sogno. Perchè quando Paolo di Nella è stato assassinato il Movimento Sociale Italiano era ancora rinchiuso nel ghetto dettato dalla logica dell’arco costituzionale. I “fascisti” erano ancora lo spettro di quella società collusa e corrotta che si reggeva sulla falsa dicotomia DC-PCI. Quando Paolo di Nella è stato assassinato, mai e poi mai, si sarebbe potuto immaginare che un giorno, il Presidente Nazionale del movimento figlio del suo Fronte della Gioventù, potesse sedere di fianco al Presidente del Consiglio in qualità di Ministro della Repubblica.

Giorgia Meloni nel febbraio del 1983 aveva da poco compiuto 6 anni. Non andava ancora in prima elementare. Da Ministro della Gioventù e da Presidente Nazionale della Giovane Italia ha redatto un testo di legge che ha come argomento proprio le Comunità Giovanili. Quello che per Paolo era un sogno, da estendere al massimo a qualche piccola zona di Roma, oggi è diventanta una legge dello stato. E non ce ne voglia Giorgia, ma questa legge non la possiamo considerare “la legge di Giorgia Meloni”, questa legge è “la nostra” legge. La legge di tutti quei ragazzi e quelle ragazze che hanno raccolto il testimone caduto accidentalmente di mano a Paolo di Nella quella infame sera di febbraio del 1983. E‘ la legge di tutti noi, ragazzi e ragazze, che siamo stati cresciuti da chi, con Paolo, aveva condiviso sogni e speranze di un’Italia nuova e migliore. La legge di noi che abbiamo pianto durante la veglia di fronte a quel muro. La legge di noi che abbiamo affisso centinaia e centinaia di manifesti con quella frase “Paolo Vive” che non è mai stato e mai sarà uno slogan.

“Paolo Vive” significa questo. Significa consegnare al paese una legge che incarna quello che era il suo sogno. Significa aver trasformato in realtà una delle principali battaglie storiche della destra giovanile italiana. Significa aver portato quello stramaledetto anello senza indossarlo, sull’orlo della bocca fumante del Monte Fato. E chiunque abbia vissuto i suoi anni più belli tra le mura di una sezione del nostro movimento, tra l’odore di colla e di inchiostro, cara Giorgia, oggi non può che ringraziarti.

LA GRANDEZZA NON E' MAI VANA.
LE VIRTU' CONQUISTATE NEL
DOLORE E NEL SACRIFICIO
SONO PIU' FORTI DELL'ODIO
E DELLA MORTE.
COME IL SOLE CHE SCATURISCE
DALLE NOTTI PROFONDE PRESTO
O TARDI RISPLENDERANNO!


PAOLO VIVE!